Bisiogatto
31 gennaio 2008
Se vi capita di andare sul blog amico, anzi fratello, di zelig che trovate presso www.areazelig.it, troverete in questi giorni un dibattito sui telegatti: se fosse giusto o meno andarci, se fosse giusto o meno ricevere il telegatto di platino piuttosto che quello d'oro, se le votazioni sono taroccate (come ormai dovunque in Italia) oppure no...
Beh, la risposta a tutto quel dibattito ce l'avevo nel mio archivio fotografico ed è un bel fotomontaggio che parecchio tempo fa mi aveva inviato Morgana.
Eccovelo.
Quando avevo i capelli lunghi
28 gennaio 2008
Esce in questi giorni il nuovo numero di Micromega con un allegato interamente dedicato al 68.
Hanno chiesto anche a me un contributo. In anteprima per i lettori del blog ecco cosa ho scritto...
Iniziamo col dire che avevo undici anni. Nel ’68, intendo. Sono del ’57: 68 meno 57 fa 11. Tanto per far vedere che la matematica la so, anche se ho fatto il liceo (scientifico per altro) nei fatidici anni ‘70 e le scuole più che frequentarle le ho occupate, come scrisse un noto critico. Undici anni quindi, l’età attuale di mia figlia anche se, sto facendo ora i conti, lei frequenta la prima media, mentre io alla sua età ero già ben inserito in seconda, essendo andato a scuola a cinque anni. Mia madre, maestra elementare, sosteneva che a quattro anni sapevo già leggere e scrivere e all’asilo mi annoiavo. Come dubitare del giudizio di una mamma? Maestra elementare, per giunta.
Quindi elementari, private ovviamente, per via di quei cinque anni non omologabili in una scuola pubblica (solo la Moratti da ministra dell’istruzione sancirà il contrario).
E per di più dalle suore, per motivi più topografici che fideistici essendo l’Istituto delle Madri Pie nello stesso isolato di casa mia. Tutto casa-scuola e catechismo, allora? Non esattamente.
Ho imparato “Bandiera rossa” dalle suore. Cantare “Avanti popolo alla riscossa” dalle ultime file del pullman che ci stava portando a visitare l’Abbazia di Chiaravalle in presenza della Madre Superiora è stato per me il primo chiaro segno di ribellione. E siamo ancora nel 1965.
Ma ecco esplodere la primavera del 1968, che mi vede in seconda media, ma con “Bandiera rossa” già ben salda nella mia playlist personale che conteneva anche Battisti e i Corvi, Drupi e i Giganti che ben presto sarebbero però stati sostituiti da Ivan Della Mea e Paolo Pietrangeli, Giovanna Marini e alcuni Canti delle Mondine.
Per me furono galeotti gli echi del Maggio francese e una professoressa di italiano col figlio al liceo Parini che ci aggiornava quotidianamente sullo “scandalo” della “Zanzara”, un giornalino scolastico che si era permesso di pubblicare un’inchiesta sul sesso tra i giovani. E un compagno di classe ripetente, quindi notevolmente più grande di me, che mi regalò il libretto rosso di Mao tse tung (che con gli anni non perderà solo carisma e smalto, ma pure il nome… tuttora non posso leggere “Maozedong” senza avere un brivido che mi corre lungo la schiena) e mi invitò un sabato pomeriggio all’Università Statale di via Festa del Perdono ad ascoltare il comizio di un certo Mario Capanna che arringava le masse (così si diceva allora, masse popolari) sulla guerra in Vietnam.
Ebbene sì, la prima volta che ho messo piede in una università è stato per ascoltare Capanna, lo ammetto.
Ma il punto di non ritorno del mio definirmi “impegnato” e “alternativo” è stato quando fui espulso per avere i capelli troppo lunghi. Lo so, oggi pensando al mio cranio implume fa ridere, ma è andata veramente così. Un regolamento di istituto redatto da un preside fascistoide prevedeva che i ragazzi dovessero portare la sfumatura alta (il ciuffo lungo sulla fronte era permesso, ma dietro la nuca no, si doveva essere ben rasati), le ragazze dovessero avere le gonne sempre sotto il ginocchio e nessuna coppia di studenti doveva farsi vedere dentro le mura scolastiche mano nella mano.
Quest’ultimo non era un divieto legato a motivi di decoro sessuale. Era piuttosto indirizzato alle ragazzine che erano solite viaggiare con i libri sottobraccio (di zainetti neanche l’ombra) e la mano ben stretta in quella dell’amichetta del cuore.
Strano divieto comunque.
Non potersi dare la mano nel corridoio durante l’intervallo. Noi la interpretammo subito come una paura da parte del “potere” di vedere i giovani fraternizzare troppo. Divide et impera, insomma.
Più avrebbe vinto l’individualismo tra i ragazzi e più sarebbe stato sconfitto il collettivismo tra i futuri adulti. Analisi molto spicciola, quasi banale. Ma a ripensarci forse conteneva qualche verità. Anni dopo scrissi un libro il cui titolo fu poco capito da chiunque, editore compreso, ed era: “Prima comunella, poi comunismo”. Ecco, forse era davvero così, non ci permettevano di fare comunella per paura del comunismo…
Comunque io mi beccai i miei bei tre giorni di sospensione con conseguente sette in condotta nella pagella successiva per aver trascurato il barbiere.
Questo è il mio ricordo sul 1968 propriamente detto, ma quando si parla di Movimento del ‘68, spesso si parla del ‘69, dell’autunno caldo, di Piazza Fontana e degli anni seguenti e allora lì i ricordi si fanno più vivi, partecipati.
Non più medie inferiori, ma liceo. Il mitico (almeno per me) liceo scientifico “Luigi Cremona”, di Milano ovviamente, zona Affori-Bovisa-Comasina, pochi fighetti tanto per capirci.
Il mio primo approccio alla vita pubblica, la mia prima identificazione politica, è stata l’anarchia. “Ma è un’utopia!” ci obbiettavano quasi tutti... “Ma è proprio quello il suo bello” pensavo io. Mi ricordavo le parole di Jim Morrison: “Non accontentarti dell’orizzonte, cerca l’infinito”.
Chi non ha utopie non ha sogni, chi non ha sogni non vive, sopravvive, pensavo. Di realpolitik si può anche morire, lentamente per giunta. E per un giovane, ultima citazione lo giuro, è meglio bruciare subito che spegnersi lentamente.
Detto, fatto.
Contatto uno dei pochi anarchici della scuola che vestiva anche da anarchico... in mezzo a tanti eskimo e anfibi, lui girava con un mantello nero, la barba lunga e un cappello a larga tesa. Nero, ovviamente. Pareva di essere nell’Ottocento (quel ragazzo, tra l’altro, diventerà un ottimo insegnante steineriano e alcuni decenni dopo avrà tra i suoi alunni un certo Luigi Berlusconi. Casualità? Sfortuna? Nemesi storica?).
Ci vedete una mattina poco dopo l’alba, io e lui volantinare davanti alla Face Standard ad operai che nel freddo del mattino invernale ci guardano a dir poco perplessi? Questa scena, occorre ammetterlo, ha qualcosa che sta tra il romantico e il ridicolo. Io allora vidi più il ridicolo del romantico e mi concentrai quindi sulla scuola, la mia scuola, con i “piccoli” problemi del caro libri, dei contenuti nozionistici, dei programmi scollati dalla bruciante attualità. Beh, non ho mai studiato tanto in vita mia come in quegli anni di liceo dove, durante le occupazioni, si organizzavano gruppi di studio, lavori interdisciplinari... Eravamo persino riusciti a rivoluzionare prossemicamente la classe: non più file di banchi per due che guardavano il prof ma banchi disposti a ferro di cavallo, per vederci tutti in faccia e, se si lavorava in gruppo, uniti a gruppi di quattro.
Eravamo anche così poco formali o schematici che quando intuimmo che un certo insegnante di religione, il plurilaureato Don Gualberto Gualerni tanto per non fare nomi, teneva dei corsi monografici di economia tra le due guerre in un’altra sezione ottimizzando al massimo la sua miserella ora settimanale, non esitammo a bigiare alcune noiose e inutili lezioni della nostra classe per seguire a bocca aperta le sue indimenticabili lezioni. E pensare che tutto questo è accaduto negli anni Settanta, che saranno poi chiamati anni di piombo (purtroppo giustamente a causa di ultraminoranze assurdamente e inutilmente violente ed eversive).
Per me invece, sono stati gli anni della cultura, dello studio, del confronto, dell’impegno senza maiuscole o virgolette. Durante un’occupazione riuscii a portare Dario Fo in aula magna a tenerci una lezione su Cielo d’Alcamo e la sua Rosa fresca aulentissima che praticamente fu un’anteprima di Mistero Buffo (gratis per giunta). Ecco, per me il Nobel se l’è meritato fin da quella mattina, davanti a seicento studenti prima rumorosi e scettici, poi sempre più attenti, divertiti e interessati.
Anni dopo (pochi per altro) ebbi l’occasione, e la fortuna, di assistere a prove aperte di suoi spettacoli invitato assieme ai Comitati Unitari di Base di cui facevo parte: Morte accidentale di un anarchico, Storia di una tigre e altre storie, Morte e resurrezione di un pupazzo... ed è stato lì che ho deciso che avrei provato a cimentarmi con quell’arte.
Quarant’anni dopo sono ancora qui, a lottare per un senso, un senso delle cose che si fanno del perché le si fa, del come le si fa. E quel senso altro non può essere se non, di volta in volta: la bellezza, l’amore, la poesia, l’armonia.
Tutte utopie, non meno irraggiungibili dell’anarchia.
“Una carta del mondo che non contiene il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela”.
Tanto per citare anche Oscar Wilde e smentirmi ancora una volta...
Giorno della memoria
27 gennaio 2008
Maurizia mi ha inviato questa mail che volentierissimo pubblico:
Caro signor Claudio Bisio,
oggi è la giornata della memoria.
C'è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c'è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c'è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l'eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono
c'è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
JOYCE LUSSU
Los roques
25 gennaio 2008
Negli ultimi giorni ho ricevuto parecchie mail di questo tipo. Ho deciso di pubblicarne almeno una perchè secondo me il popolo della rete, cioè voi che leggete anche questo blog, siete abbastanza adulti e sgamati da saper dare una giusta collocazione a questo allarme e, forse, anche da essere di qualche aiuto...
Scriviamo a te Bisio, perchè sei entrato nelle nostre case e con la tua trasmissione ci fai ridere e divertire.
Scriviamo a te Bisio perchè trasmetti affidabilità.
Scriviamo a te Bisio pechè vorremmo qualcuno che ci ascolti.
Ti scriviamo in merito all'aereo "caduto" a Los Roques il 4 gennaio, vi scrivo per poterci aiutare a mandare avanti le ricerche e trovare delle risposte vere.
Su quell'aereo c'erano 8 passeggeri italiani di cui una famiglia con due bambine, due amiche e due ragazzi in viaggio di nozze. Stefano è figlio unico e sua madre (Stefano non ha il papà) è disperata. Conosco Stefano da quando avevo 2 anni e vi assicuro che è una persona splendida, non lo dico solo perchè ora non sappiamo dov'è, ha tantissimi amici e hanno creato un sito guarda tu stesso i messaggi di disperazione, amicizia, speranza.. Stefano e Fabiola si sono sposati il 29 dicembre, sono partiti per il viaggio di nozze ed il 4 gennaio il loro aereo è "caduto", ma non si hanno più notizie. E' per questo che ti scriviamo, le ricerche finora effettuate sono state molto lente, lo Stato italiano non ha fatto molto per poterli ritrovare e il venezuela ha pochi soldi da impiegare per le ricerche di soccorso. Inoltre ci sono
tanti fattori che messi insieme formano diverse ipotesi:
- AEREO AFFONDATO
-DIROTTAMENTO (dato che da quello che abbiamo saputo in quella zona ci sono molti narcotrafficanti ed è già successo in precedenza di dirottamenti e persone ammazzate e fatte poi ritrovare in acqua)
Perchè pensiamo al dirottamento?
1) notizie contrastanti riguardo al tempo, alcuni dicono che era brutto, altri che era la giornata ideale per viaggiare;
2)gli aerei partiti subito dopo tra cui quello della giornalista Cristina Parodi hanno riferito che il pilota diceva ai passeggeri di guardare in mare per vedere se riuscivano a vedere qualcosa non specificando cosa, ma non hanno visto niente.
3)il pilota dalla simulazione della caduta dell'aereo fatta in un
secondo tempo, risulta che aveva a disposizione dopo che ha detto di avere entrambi i motori in avaria altri 10 minuti per poter parlare con la torre di controllo ma c'è stato il silenzio totale.
4)IL TELEFONO DI UNA PASSEGGERA E' STATO ACCESO E HA SQUILLATO 24 ORE
DOPO L'ACCADUTO!
5)le ricerche finora effettuate in mare non hanno portato nessun esito, nessuna traccia dell'aereo.
6)il 13 gennaio un gruppo di pescatori ha ritrovato un corpo in
biancheria intima,con forti contusioni (si presume senza acqua nei polmoni),privo di quattro denti con vicino e non indosso il salvagente e al polso un orologio "intatto", identificato come il copilota.
7)negli ultimi 3 anni sono spariti 2 aerei e dei passeggeri nessuna
notizia.
Tutti noi ci chiediamo: perché tanta poca chiarezza? Perchè non hanno
cercato nelle tante isole vicine? Perché le ricerche sono state così
lente? Perché non pensare subito ad un dirottamento?
Se un aereo cade, si spezza e allora dove sono almeno le valigie, gli effetti personali? Non si è spezzato? Possibile che nemmeno una macchia d'olio ha lasciato in mare e che gli aerei partiti subito dopo non hanno visto niente? Come è possibile che un aereo affondi e un telefono squilli addirittura il giorno dopo? Perché non si è fatto niente per rintracciarlo? Perchè il pilota in quei 10 minuti non ha comunicato nulla?
Perché non hanno trovato subito il corpo? Se era in acqua e loro hanno effettuato le ricerche come hanno fatto a non vederlo? E se è stato sbalzato fuori dal finestrino o si è buttato dovevano uscire anche gli altri o perlomeno qualcosa che era nell'aereo. Il vetro degli orologi in profondità dovrebbe rompersi ma così non è stato dato che era intatto.
Purtroppo in quella zona alcuni aerei sono spariti, c'è già stato un dirottamento e i passeggeri li hanno poi ritrovati sgozzati e buttati in acqua, ci sono state persone scomparse.. la cosa brutta è che tutte queste cose le abbiamo sapute facendo ricerche personali.
Questa è l'idea che tutti noi ci siamo fatti:
1)l'aereo è stato dirottato ma dato che in quei paesi vivono
esclusivamente di turismo hanno messo a tacere la cosa e questo è vergognoso!
2)l'aereo è realmente affondato.
Qualsiasi sia l'esito, vogliamo chiarezza, non si può parlare solo di storie d'amore in tv!
Mi chiedo ma credo che il mio pensiero sia quello di tanti italiani: come è possibile che visti i tanti problemi che vive oggi l'Italia si dia tanta importanza agli amori di persone che non hanno niente in comune con la gente reale? Come è possibile far vedere sui tg famiglie che non sanno neanche come arrivare a fine mese e subito dopo far vedere le sfilate di moda i cui vestiti costano mesi di stipendio delle persone normali?
Bisogna essere per forza ricchi o personaggi famosi per farsi ascoltare?
TI PREGO AIUTACI I a sensibilizzare le persone e a dare spazio a questa triste vicenda in modo che le ricerche continuino.
Aiutaci a parlarne il più possibile in modo da continuare.
Vogliamo la verità e che venga aperta un'inchiesta.
NON VALGONO DI PIU' LE VITE DELLE PERSONE PIUTTOSTO DI AMORI DI PERSONE
CON STILI DI VITA COMPLETAMENTE OPPOSTI ALLA GENTE COMUNE?
Noi Stefano e Fabiola li rivogliamo a casa.
Grazie.
Elisa.