Ritratto di signora
6 giugno 2006
29 ottobre 2006. Notte. Ore 2. Non è stato per niente facile portare tutte queste lattine spray di vernice in piazza Duomo. Mi sono sempre chiesto perché le ragazze, ingigantite e tirate a lucido nelle fotografie, potessero stare a cavalcioni di ogni monumento griffate con tag di marche famose. La loro bellezza scontata era sicuramente diversa da quello che avevo in mente io, però poteva esserci uno spazio anche per la mia idea. E devo dire che ce n'è parecchio tra le guglie di questo Duomo che domani sarà finalmente spacchettato. Per noi writer, la città è un bloc-notes aperto e io ho scelto il foglio migliore, uno dei pochi ancora bianchi per altro. Mi sembra perfino strano che nessuno ci abbia provato prima.
L'i-pod pompa nei padiglioni delle orecchie un po' di hip hop e picchia un po' di punk perché la vita è decisamente migliore con la colonna sonora.
Ma non c'è tempo da perdere, semmai questa è un'ora vinta. E allora via veloci verso la vetta. C'è da dipingere il ritratto della donna che amo. Sospeso nel vuoto percepisco un brivido nel realizzare che l'idea di essere appeso a un paio di cavi è diventata realtà. Mi calo sulla facciata da copertina e da cartolina della città e inizio. Comincio con gli occhi, dal taglio orientale, misterioso e affascinante. Passo alla bocca, sensuale nel sorriso accennato, con un dente leggermente sporgente pronto a mordere. Sui capelli consumo parecchio colore per renderli ricci, gonfi, neri, vaporosamente afro. Tra le pieghe del vestito azzurro ci lascio qualche striatura nera. Un segno rivolto a una fede per Dei minori che oggi, grazie a miracoli fatti coi piedi, vanno maggiormente di moda dei loro “superiori”, situati più su dei canonici tre metri sopra al cielo. In testa le poso un cappellino giamaicano, dagli intrecci di rosso, verde e giallo. Mi perdo tra il seno tornito e i lombi fatali. Le lunge gambe si accavallano sui portoni della cattedrale, mentre alle caviglie si intrecciano i braccialetti portafortuna regalati dagli ambulanti. Le vetrate scintillanti si confondono con il resto dell'opera come preziosi gioielli inestimabili.
La vibrazione del cellulare mi fa presagire l'arrivo dello scooter di Lele, guardando apparire il suo nome sul piccolo schermo ho la conferma che sta percorrendo via Torino lasciandosi alle spalle le Colonne di San Lorenzo, luogo dove sembra finire il mondo, per venirmi a raccogliere. Torno coi piedi per terra e guardo la mia opera, incompiuta: non farò in tempo a offrirle pure le braccia. Ma non c'è problema. Dirò di essermi ispirato alla Venere di Milo.
Ecco compiuto l'atto estremo in bilico tra modern art e vandalismo. Ho voluto ritrarre la Milano che ho imparato ad amare. Multiculturalmente bellissima. Vorrei vedere i volti di chi salendo le scale della metropolitana si troverà di fronte questa nuova faccia del Duomo.
Sono le 3. Ma questa è un'ora hitckcokiana, un'ora che vive due volte. Scatta l'ora solare. Bentornate, ore 2. Rewind: si ricomincia. E le lattine di vernice sono ancora lì, chiuse e piene, vicino ai miei piedi.
From Claudio G.