Ieri sera ho visto (rivisto) a teatro “Arlecchino servitore di due padroni” di Goldoni con la regia di Strehler e l’interpretazione di Ferruccio Soleri.
Ferruccio Soleri ha più di ottant’anni, una vita per il teatro e in giro per i teatri di tutto il mondo a recitare principalmente Arlecchino. Gli è stato persino assegnato il guinness dei primati per aver interpretato lo stesso personaggio per più di cinquant’anni!
Tornando a casa mi sono messo a riflettere sul mestiere dell’attore. Su questo nostro meraviglioso lavoro che ci porta, come nel caso di Ferruccio, a fare capriole a ottant’anni, a giocare come i bambini, a cambiarsi d’abito, a truccarsi, a fare le voci grosse e quelle stridule, a commuoversi e a procurare risate, a suonare strumenti, a intonare canzoni, ad accennare a passi di danza. Nell’Arlecchino servitore di due padroni, ad esempio, c’è tutto questo: la musica, il canto, la danza! I movimenti di scena sono di Marise Flach, allieva di Decroux e mia insegnante al Piccolo Teatro, che in alcuni momenti diventano dei veri e propri balletti.
Essere attore è saper fare tutto questo, e altro ancora. È stimolo alla lettura, non solo di testi di drammaturgia, ma di poesia, narrativa, saggistica. E quando l’attore si cimenta nella lettura ad alta voce di un testo poetico, vedi Benigni con la Divina Commedia, nasce l’arte, qualcosa a volte di irripetibile, magari anche ripetibile ai tempi nostri con telecamere e dvd, ma sicuramente di unico, che supera la stessa pagina scritta, sia che la sintetizzi o che la sviluppi, la divulghi o la stravolga…
Questo fa l’attore.
Sempre ieri è uscita in edicola una mia intervista rilasciata ad un giornalista dell’Espresso, Riccardo Bocca. Quattro ore di intervista poi inevitabilmente sintetizzate in due paginette di giornale (comprese le foto). Da quelle quattro ore di intervista potevano, ovviamente, essere estrapolate decine di interviste, una diversa dall’altra.
L’Espresso ha scelto la strada della contraddizione tra il dichiararsi di sinistra e lavorare (tra le altre cose) per Mediaset: cuore a sinistra e portafoglio a destra, per sintetizzare brutalmente. Stesso tema e schema usato qualche giorno prima da “Libero”. Non voglio rientrare nel merito, l’ho fatto in parte nell’intervista e prima e meglio di me lo avevano fatto Giuseppe Tornatore e Roberto Saviano “accusati” rispettivamente di aver girato un film per Medusa e pubblicato un libro con Mondadori.
Dove mi sono sinceramente offeso è quando il giornalista ha insinuato (durante l’intervista me l’ha detto esplicitamente) che anche le mie scelte teatrali sono sempre state in funzione del successo commerciale: nomi come Pennac, Serra, Baricco e perfino Gaber e De André sarebbero da me stati scelti in quanto blockbusters.
Ricordo al signor Bocca (l’avevo fatto anche durante l’intervista, ma per questo non c’è stato spazio) che i miei autori di riferimento, da sempre, rispondono ai nomi di Edoardo Erba, Sergio Conforti (in arte Rocco Tanica), Giorgio Terruzzi, Walter Fontana. E che in pieno “Mai dire gol” e successo di miei personaggi quali il truffaldino procuratore di calcio “Micio”, portare in giro nei teatri italiani “Monsieur Malaussène”, un piccolo monologo intimista sulla paternità scritto da Daniel Pennac non la ritengo affatto una scelta commerciale. Anzi.
E quando mi prendo un’evasione dalla televisione per fare del cinema, non faccio solo cinepanettoni (uno ne ho girato, quattro anni fa), come da articolo ma soprattutto da foto pubblicate (due, che riguardano il cinema, ed entrambe prese da “Natale a New York”, una di gruppo e una con Elisabetta Canalis, che sicuramente visti i suoi recenti rapporti sentimentali con noti attori americani è molto più glamour e appetibile di altre; ma lo sanno i redattori e fotocompositori dell’Espresso che nella mia carriera cinematografica ho recitato anche con Valeria Golino, Stefania Rocca, Angela Finocchiaro, Anita Caprioli, Elena Sofia Ricci, Monica Bellucci, Valentina Lodovini, Giovanna Mezzogiorno?)!
Come ho ampiamente raccontato al giornalista, quando ho avuto chance di girare un film “tutto mio” ho scelto: la prima volta un film fantasy-sentimentale quale “Asini” scritto insieme a Roberto Traverso (ottimo drammaturgo, attualmente lavora al teatro Out Off di Milano) e Giorgio Terruzzi, conosciuto durante il mio primo varietà televisivo, e cioè “Cielito Lindo” (nella mitica raitre di Guglielmi, Frassa e Voglino) allievo di Beppe Viola e autore del recente “Il mio dio è ateo” da cui spero di poter presto trarre uno spettacolo teatrale; la seconda volta (sette anni dopo, visto che “Asini” al botteghino era stato un disastro) un noir tratto da un giovane scrittore milanese che avevo conosciuto anni fa al Centro Sociale Leoncavallo: Sandrone Dazieri insieme a Carlo Sigon, giovane filmaker che con “La cura del gorilla” ha firmato la sua prima regia. Ma secondo il Bocca Io non sfrutto il mio nome per valorizzare giovani talenti
ma uso solo Celebri intellettuali
.
Ovviamente nell’intervista neanche un cenno all’ultimo film da me girato e cioè a quel “Si può fare” nato piccolo, scartato da molti produttori perché troppo rischioso per il suo tema, il disagio mentale, e che è diventato un piccolo caso, fino a contendere fino all’ultimo con Baària il diritto di concorrere all’Oscar per l’Italia. E che proprio ieri ha vinto al festival di Berlino il premio speciale per il cast.
Infine la cosa che più mi ha addolorato leggendo l’intervista (e l’occhiello e i lanci d’agenzia) è una presunta e pretestuosissima polemica tra me e alcuni miei colleghi.
Nelle quattro ore di intervista dove, giustamente, si è parlato di tutto: Televisione, Politica, Comicità, Business, Gusti personali e Preferenze elettorali, ho ammesso di non aver mai nella mia carriera di attore e di comico fatto una battuta su Andreotti gobbo, o Fanfani nano, o Berlusconi calvo, di non essere un particolare fan della satira politica, pur ammettendo che c’è chi la interpreta in modo egregio come Daniele Luttazzi, Sabina Guzzanti e Maurizio Crozza
come riportato persino dall’intervista… e Benigni, e Grillo e Fo, come non riportato dall’intervista.
Bene, il sottotitolo, usato anche come lancio di agenzia e riportato quindi da molti altri giornali, è stato: Bisio rivela: Guzzanti, Crozza e Luttazzi non mi fanno ridere
. Addirittura un giornale chiamato “Il Giornale”, sintetizzando la sintesi, ma come in un telefono senza fili tra sordi ha riportato: Crozza: la Guzzanti non mi fa ridere
. Grottesco.
Per fortuna so che gli amici e colleghi Maurizio, Sabina, Daniele conoscono bene il giornalismo italiano e non c’è bisogno che io li chiami per chiarire, chiosare, distinguere.
Al di là del fatto che io ritengo la notizia: “a Bisio tre colleghi non fanno ridere” una non notizia, ascrivibile al massimo alla famosa rubrica di Cuore “Echissenefrega”. Sarebbe come dire: a Riccardo Bocca Curzio Maltese, Sebastiano Messina e Antonio Dipollina non fanno ridere (medesima rubrica).
Amici giornalisti mi dicono che quelle finte polemiche, quei titoli strillati servono a vendere di più i giornali.
Io, che da sempre sono lettore dell’Espresso, nego. Voglio sperare che l’Espresso questa settimana abbia venduto il triplo della settimana scorsa, ma non grazie a questi strilli, che poi in mano alle agenzie diventano urla.
Concludendo, noto con curiosità che da qualche giorno sia la stampa di destra che quella di sinistra ha preso di mira Zelig e me. Sappiano lor signori, tutti, che io checché ne dicano o ne pensino loro, mi ritengo un “ostinato e contrario”, per cui più vedo critiche pretestuose e preconcette più mi ostinerò a proseguire l’esperienza con la comicità di Zelig.
Mi scuso per lo sfogo, normalmente i miei post sono molto più brevi, lo sapete.
Grazie ancora a Ferruccio Soleri, che in una giornata cupa e faticosa mi ha ridato il sorriso, la fiducia in questo nostro stupendo “lavoro” e quando mi ha promesso di tornare a vedere Zelig dal vivo, magari in un Lunedì di riposo del suo Arlecchino, mi sono ricordato di quando venne a vederci l’anno scorso, della sua emozione quando lo presentai al nostro pubblico che senza la maschera non l’aveva neppure riconosciuto ma che appena capito chi era gli aveva riservato un’ovazione.
Mi ricordo come fosse oggi la sua emozione, sincera, e le parole che mi ha detto, i suoi complimenti a tutti noi, soprattutto ai giovani talenti che ogni anno scopriamo.
E ho capito che l’umiltà è un dono dei grandi.