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borgnine , atto secondo

borgnine , atto secondo
Ernst Borgnine aveva già lavorato in Italia (con Vittorio De Sica, tanto per dirne uno), ma è la prima volta che recitava in italiano e la cosa lo ha particolarmente eccitato anche perché ha origini più che italiane: il papà era di Ottilio, paesino in provincia di Alessandria, mentre la mamma era di Carpi, vicino a Modena. In effetti il suo cognome originariamente sarebbe Borgnino (Burgnèin, se volete pronunciarlo alla piemontese).
Mentre si girava è accaduto anche un episodio quasi da Carramba che sorpresa. Una persona che conosco e che lavora con me agli spot di Pagine Gialle (anzi, io lavoro con lui, potrei dire per lui) insomma Roberto, che per motivi di privacy chiameremo Roberto, mi ha chiamato dicendomi di avere scoperto che suo nonno (che appunto faceva Borgnino di cognome) era probabilmente fratello di un certo Eustachio Borgnino, nonno di Ernest. L’ho fatto quindi venire sul set con tanto di album di famiglia (classiche foto ingiallite dal bordino zigrinato), documenti autografi attestanti affitti di terreni e quant’altro… mi sono sentito molto Raffaella Carrà (o Maria De Filippi se preferite) a vedere quest’uomo che ha fatto la storia del cinema, commuoversi.
E dire che nel nostro film (La cura del Gorilla) io l’ho dovuto trattare male quasi sempre. E’ stata davvero dura e confesso che ogni tanto il regista doveva ricordarmi di non guardarlo con occhi dolci e ammirati, ma seccato e stufo della presenza di quell’attore americano vecchio, impiccione e pasticcione (questo era il suo personaggio)… vi garantisco, non è stato facile.

Borgnine è partito

Borgnine è partito
E’ partito. Ernest Borgnine è tornato negli States, California, Beverly Hills, per l’esattezza, nella sua villa che confina con quella di Jack Nicholson, con la sua quinta moglie, quella giusta pare. Beh, l’idea che fino a qualche giorno fa sia stato con noi, con me, qui nel caldo milanese, tra le zanzare dell’Alzaia Naviglio Pavese, dove se parli di piscina al massimo ti viene in mente Scarioni, Argelati (parlo di quelle all’aperto perché dire Cozzi a Giugno non suona bene) toh, al massimo Idroscalo, mi fa impazzire. Di gioia, non soltanto per aver conosciuto una tra le persone più serene, disponibili, curiose, interessate e interessanti che io abbia mai incontrato, ma anche per aver avuto l’onore di lavorare con un pezzo di storia del cinema.
Intanto vorrei ricordare brevemente la sua biografia:
ottantotto anni, portati più che brillantemente direi, Oscar come attore protagonista per il film "Marty" nel 1955 (io non ero ancora nato, tanto per dirne una).
Ha girato nella sua carriera 184 film… ricorderei per lo meno “Quella sporca dozzina”, “Vera Cruz”, “L’avventura del Poseidon”, “L’imperatore del nord” “Il Mucchio Selvaggio”, ma era anche il taxista di “1997, fuga da New York” e il protagonista dell’episodio di Sean Penn nel recentissimo e bellissimo film “11 Settembre 2001" che guarda caso negli Stati Uniti non è ancora stato distribuito.

Consumare di meno?

Consumare di meno?
Ieri ho letto queste parole di Michele Serra a propopsito della preoccupazione generale per il calo dei consumi pubblicate dal quotidiano "La Repubblica" che, come spesso mi accade quando leggo Serra, condivido pienamente:
"Perché, tra i fattori che spingono a consumare di meno, non si mette mai in conto anche una possibile saturazione, e quel vago senso di indigestione che le società benestanti si portano in seno?
Ci sono consumi ormai di massa (certe vacanze, certi vestiti, certe seconde case, certe terze automobili, certi quarti telefonini) che magari hanno segnato il loro tempo, e ai quali si rinuncia non solamente per la contrazione del potere d'acquisto, ma per sazietà o noia.
... ognuno di noi conosce almeno qualcuno che ha scelto di lavorare un po' meno e spendere un po' meno, per vivere meglio. In che statistica va a finire, questo occidentale che ha deciso di rallentare per respirare, e magari addirittura per pensare a se stesso?"
Sagge parole, caro vecchio Michele (vecchio in questo caso sta per saggio).

Eterologa?

Eterologa?
Tanto è stato detto sui quattro referendum per i quali do per scontato che si vada a votare oggi e domani.
Non sono quesiti semplici... Grillo ha giustamente sottolineato nel suo blog come più del 30% delle parole utilizzate per formularli (invasività, impeditive, eterologa, crioconservazione, ecc.) non si trovino nel "Vocabolario di Base della lingua italiana" di Tullio de Mauro.
Non entrerò quindi nel merito tecnico dell'opportunità o meno di crioconservare più o meno di tre embrioni, né in quello para-etico che dovrebbe decidere se otto cellule sono vita o meno e, se sì, con quali diritti.
Mi sembrano davvero questioni da un lato troppo importanti, dall'altro troppo tecniche e specifiche per essere populisticamente decise da un referendum.
Mi permetto solo di ricordare (come ai tempi fu per il divorzio prima e per l'aborto poi) che qualora fosse reintrodotto il diritto di alcune coppie di ricorrere alla fecondazione eterologa (come mi auguro e come già avviene in molti paesi europei e non) non ci sarebbe nessuna strage degli innocenti, anzi probabilmente qualche nascita in più, qualche coppia più felice e qualche donna altrettanto (non dimentichiamo che se votassero solo le donne probabilmente l'esito sarebbe scontato).