Cos’è l’umorismo e come nasce una battuta… domanda da mille punti.
Esistesse una regola e la conoscessi, probabilmente l’avrei già depositata alla Siae o, meglio, all’ufficio brevetti, avrei già scritto un manuale, e sarei in panciolle in qualche isola caraibica a dispensare consigli, correggere battute altrui e godermi i proventi della mia scoperta. Invece non è così. Non che Piazza Dateo di Milano (luogo da cui sto scrivendo) sia meno decorosa di Mustique, ma insomma…
Buona regola in questi casi (quando si tratta di definizioni, anche le più ovvie) è affidarsi a un buon dizionario della lingua italiana. Occasionalmente ho sottomano il De Mauro che alla voce “umorismo” recita: “Capacità di percepire e presentare la realtà mettendone in risalto, con un atteggiamento improntato al distacco critico, gli aspetti divertenti e insoliti, talvolta assurdi.”
Sottolineerei parole quali distacco critico, distacco dalla realtà (pur conoscendola), da se stessi (pur amandosi, ma mai prendendosi sul serio), dagli altri (per forza). Non esiste umorismo senza un pizzico di cinismo, senza appunto quel distacco ironico e autoironico che per amor di battuta ci fa sparlare di noi stessi, di nostra moglie, dei nostri figli, persino di nostra madre… e a volte non ci ferma neppure di fronte alla morte (restarono famose le polemiche intorno ad alcune battute dopo la presunta conversione in punto di morte di Guttuso… non è un refuso, ho detto Guttuso e non Gattuso, ignoranti!).
Penso al disincanto di Ellekappa, al famoso ombrello chiuso, e rigorosamente conservato nel didietro, di Altan, con il laconico dialogo: “Beh, poteva andare peggio” “No”.
Questo è l’umorismo, sempre consapevole, voluto, cercato e, ahimè, non sempre trovato.
Diverso è il comico che può essere anche involontario ed è quasi sempre causato da un errore, un inciampo, una disarmonia, fisica o psicologica: comico è il nano, il grasso, il calvo, lo stupido, il balbuziente, il credulone, l’avaro, il geloso, il cornuto, il misantropo, quasi mai il bello, intelligente, generoso e onesto (a meno che non diventi un coglionazzo, ma allora torniamo ai difetti, vincenti in comicità).
Come altresì fa ridere (involontariamente) chi scivola su una buccia di banana; anche se si fa molto male, il nostro primo moto, incontrollabile, è il riso, poi magari lo soccorriamo… a questo proposito (sul comico volontario e involontario) esiste un ottimo saggio di Bergson dal titolo “Saggio sul riso” che ci si può comodamente portare sotto gli ombrelloni luglieschi e fare un po’ gli “sboroni” dicendo come minimo la seguente frase: “Guarda, mi è ricapitato tra le mani recentemente, lo sto rileggendo e lo trovo comunque di un’attualità pazzesca!”
Per quanto riguarda la battuta, infine, effettivamente esistono delle regole a cui va poi aggiunta l’eventuale genialità dell’autore.
La principale regola è, a mio avviso, lo spiazzamento. Occore creare in pochi secondi un’immagine, e poi la battuta, come una doccia gelata, deve ribalatare le aspettative del lettore/spettatore facendo crollare quel castello che si era costruito… esempio rubato al geniale Woody Allen: ”Vorrei tanto rientrare nell’utero… di chiunque”. La prima parte della frase ci fa pensare a una voglia di tornare bambino, anzi feto. Ci si immagina l’utero materno, una situazione prenatale e quindi tenera, calda, ancestrale… e poi la chiusa, la doccia gelata, totalmente inaspettata… di chiunque, che fa pensare a un assatanato un po’ bavoso in crisi di astinenza sessuale. E però se la si pensa pronunciata dal Woody personaggio dei suoi film, torna ad essere più lieve, naif, quasi condivisibile.
Una decina di anni fa (forse, ahimè, di più) su iniziativa dei soliti Gino&Michele e di Smemoranda ci fu una specie di concorso alla ricerca della battuta del secolo, iniziativa che diede poi origine alle varie raccolte delle formiche che anche loro, come ben si sa, nel loro piccolo si incazzano (famosa battuta di Marcello Marchesi), bene, allora vinse la battuta di un mio amico (combinazione) che ha scritto con me tutti i personaggi che ho interpretato a Mai dire Gol… sto parlando del grande Walter Fontana e la battuta (cito a memoria) era: “Lei crede in Dio?” “Beh, credere, diciamo che lo stimo.” Anche qui c’è lo spiazzamento di cui sopra, solo che è molto più sottile: se il verbo credere è usato in maniera prosaica, la frase seguente è quasi logica, e quindi non comica… credere, non esageriamo, stimarlo è già tanto. Se si pensa al tristemente famoso detto mussoliniano “credere, obbedire, combattere” si ha totalmente ragione nel ritenere la stima uno dei maggiori ri conoscimenti che si possono attribuire ad un uomo. Il problema è che qui non parliamo di un uomo, parliamo di Dio, e il Credo (che è pure una fondamentale preghiera) è appunto la prima testimonianza della fede. In questo senso o si crede o non si crede, non esistono vie di mezzo. Chi, come nella battuta di Fontana, cerca di smussare gli angoli di una religione plurimillenaria sbaglia, inciampa, quindi fa ridere. Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi, dice un vecchio proverbio… ma quando mai, sembra rispondere il comico.
Beh, detto questo vi lancio io una provocazione: fino a che punto può essere consentito arrivare per far ridere? E’ giusto porre un limite? E se sì, di che tipo? Morale, Etico, Estetico? Aspetto proposte, consigli, insulti e quant’altro.