Style Magazine
di Maria Novella Oppo
Fa Zelig in tv. Porta Pennac in teatro e interpreta un noir al cinema.
Piace (quasi) a tutti, forse perchè sembra un simpatico sfigato che, assurdamente, punta molto in alto.
Claudio Bisio, anni 48, professione attore. Il suo nome è stampato a lettere di scatola sulla facciata del Piccolo Teatro di Milano, da qualche stagione è in testa agli ascolti televisivi con Zelig Circus, conteso da direttori di rete e inserzionisti, ha scritto libri, inciso dischi e girato molti film (di cui uno, Mediterraneo, ha vinto un Oscar). Con il gruppo di Zelig ha inciso anche un dvd per raccogliere fondi a favore di Emergency, in vendita dal 17 novembre. Fino a dicembre è in tournée con lo spettacolo Grazie, testo di Daniel Pennac, regia di Giorgio Gallione. Ha un film in uscita nel 2006 intitolato La cura del gorilla, opera prima di Carlo A. Sigon, tratto da un noir di Sandrone Dazieri. Insomma, Bisio potrebbe essere un antipatico uomo di successo, ma fa di tutto per sembrare un simpatico sfigato.
II suo “romanzo di formazione”, Prima comunella, poi comunismo, cominciava così: “Sono nato in una comune dove praticavo l'amore libero, trebbiavo canapa indiana tutto il giorno e vivevo nudo in un trionfo di armonia universale...”.
Che c'è di vero?
"Quasi niente, perché siamo dei burloni, ci piace scherzare. Mai trebbiato, non lo dico per la polizia. È vero, ho sfiorato comuni, ma non ho mai trebbiato canapa indiana, se poi si trebbia. Il brano che ha citato finiva così: “Poi sono scappato e mi hanno ritrovato allo sbando, in un condominio con l'ascensore, una famiglia col cane, una cameretta tutta mia...”".
Insomma, un incubo di rispettabilità.
“Non rinnego niente. Sono il contrario di Ferdinando Adornato, tanto per fare un esempio. Dagli anni Settanta a oggi, se vogliamo, ho solo scarrocciato: è un termine velico. Significa che una lieve deriva socialdemocratica l'ho avuta anch'io, ma tutt'altra cosa è cambiare rotta di 180 gradi”.
Quali principi ha rinnegato?
“Nessuno, in realtà. Ma alcune cose, magari, erano sbagliate. Se si dice postcomunista Massimo D’Alema, posso farlo anch'io. Quello che allora era comunismo, per noi, in fondo era comunione e liberazione. Ho sempre invidiato quel nome. Lo ha scritto anche Gad Lerner di recente e mi ci sono ritrovato”.
Allora cos'è rimasto? Almeno la comunella...
“Sì, la comunella c'è ancora”.
Meno male. Dunque, lei è ancora un “ragazzo” di sinistra. Però lavora per Silvio Berlusconi e ogni suo successo contribuisce ad arricchirlo e perfino a dargli l'alibi dell'editore liberale.
“È come dire che se lavori per la Fiat arricchisci gli Agnelli. Non dovremmo respirare, vivere, accendere la luce. Berlusconi mi ha sempre lasciato esprimere. Anzi, mi sembra che ci sia più libertà di qua che di là”.
Parla della Rai, ovviamente.
“Le racconto un aneddoto. I bambini sono di sinistra un pezzo di Giorgio Terruzzi, l'ho letto a Zelig davanti a 10 milioni di spettatori e non è successo niente. Ho fatto al concerto del primo maggio su Raitre ed è successo un finimondo di interpellanze parlamentari. Lascio a lei le conclusioni. Senza considerare gli estromessi, gli artisti devono superare parecchi filtri per lavorare in Rai. Nel suo monologo Grazie, a un certo punto chiede al pubblico di pensare a un personaggio cui non vorrebbero proprio dire grazie, uno che detestano... In sala tutti cominciano a ridacchiare e lei dice: “No, non quello lì”. Ormai basta alludere a Berlusconi e tutti ridono”.
Pensa che possa vincere le elezioni?
“Direi di no, ma il mio pubblico non è un buon campione statistico”.
Ha rifiutato di condurre i “pacchi” di RaiUno, e da attore ha fatto bene, ma poi si è dimostrato che per battere un Bonolis bastava un Pupo.
“Senza togliere niente a Pupo, mi sembra un altro lavoro rispetto al mio. Anche a Zelig non sono un conduttore. Nel cartellone c'è scritto capocomico”.
È di moda tra gli artisti falliti dire che li ha rovinati la sinistra. Perché è chiaro che un Pupo, se non era per la sinistra, diventava Frank Sinatra. Sembra la gag di Albertone: «'A me m'ha rovinato 'a guera»...
“Senza essere arrogante, di grazie a politici non ne devo, né a destra né a sinistra. Mi sento libero di schierarmi. In piazza contro la Moratti sono sceso, per i miei bambini. Ma non sono tra quei 15 nomi che li leggi in tutti gli appelli. La mia firma va conquistata”.
Vedere il suo nome sulla facciata del Piccolo, come Shakespeare o Brecht, non le fa venire qualche senso di colpa verso altri colleghi che non ce l'hanno fatta?
“No. Secondo me quelli meritevoli ce l'hanno fatta o ce la stanno facendo. Semmai, ci sono tanti non meritevoli che ce la fanno, con scorciatoie pazzesche. Tornando allo spettacolo Grazie, il personaggio è uno incarognito perché viene premiato tardi. Ma poi viene premiato e, alla fine, il Nobel a Harold Pinter glielo hanno dato. E anche a Dario Fo”.
Come comico fa la parte dello sfigato con le donne, ma nella realtà ha una bellissima moglie e bellissimi figli. È fin troppo regolare: qual è il suo vizio segreto?
“Alla mia età, stare lontano da casa, vivere, come ho fatto a settembre, in un monolocale a Genova, cucinarmi le uova... Il mio vizio è questo qua: fare l'attore. Ho ricordi bellissimi, di vent'anni fa, quando andavamo in tournée con Paolo Rossi, giocavamo a calcio, ci divertivamo. Adesso meno, ma comunque ne vale la pena: l'alternativa sono i pacchi...”.
Si parla molto di droga tra i vip. Che cosa può dire che non si ritorca contro di lei?
“Rischio la banalità: il lavoro è già una droga. Se mi misurassero i valori quando salgo sul palcoscenico, sarebbero tutti sballati. Uno che fa questo mestiere risparmia anche i soldi dello psicoanalista. Stanislavskij, quello del “Metodo”, diceva che l'attore è un atleta dell'anima. Ci ho messo vent'anni a capirlo”.
È vero che interpreterà Marco Pantani in una fiction?
“Me lo hanno proposto e mi interessa, ma non c'è niente di più: né sceneggiatura, né regista, per ora”.
Libri, teatro, tv: che cosa manca al successo completo?
“Ho un film a gennaio, un noir intitolato La cura dei gorilla. Ma, mentre a teatro conosco i miei limiti e anche i miei vantaggi, e a Zelig pure, nel cinema c’è un’incognita e le cose sconosciute invogliano di più”.
Ha un modello a cui ispirarsi?
“Il modello teatrale è Dario Fo, ho iniziato vedendo lui e rimane un faro. Anche lui ha avuto difficoltà col cinema. Io ogni volta che ci provo, mi dico: male che vada, farò come Fo. Non vincerò l'Oscar, ma il Nobel”.
Auguri. Anche i suoi spot sono divertenti e devo dire che fanno quasi più pubblicità a lei che al prodotto.
“Non lo dica, che me li tolgono. E, poi, non è vero. Un anno fa, di notte, tornavo da una serata e sono entrato in un autogrill. C'era una coppia di anziani e l'uomo ha detto alla moglie: guarda, c'è l'892424”.
Insospettabili rivelano di credere in Dio, molti laici si scoprono oscurantisti. E lei?
“Aspetto la mia via di Damasco, senza opportunismi”.