PAROLA DI TESTIMONIAL
parola di CLAUDIO BISIO
Claudio Bisio è nato a Novi Ligure nel 1957. Nel panorama attuale, è certamente tra gli artisti nostrani più poliedrici e completi. E' passato con grande disinvoltura dal teatro (tra i molti testi portati in scena, da segnalare la partecipazione al musical Rocky Horror Show nel 1978, la collaborazione con Dario Fo negli anni Ottanta e nel 2006 Grazie, primo testo teatrale di Daniel Pennac), al cinema (come non citare il film Mediterraneo di Salvatores, premio Oscar nel 1992, Nirvana, La Tregua, fino al recente Manuale d'amore 2 -capitoli successivi) alla fiction, all'editoria (come la serie di cofanetti multimediali Claudio Bisio che simpatico umorista, o la collaborazione trentennale con Smemoranda) alla televisione (da Mai dire gol fino alle memorabili edizioni di Zelig, che lo hanno visto condurre insieme a Vanessa Incontrada un tv show oramai di culto). A tutto questo, si aggiunge il suo impegno come testimonial, che ha cominciato a rivestire nel corso degli anni Novanta.
Nella sua vita professionale è passato dal teatro alla televisione, dalla Notte degli Oscar a quella dei Telegatti da Zelig al grande schermo. Un bel curriculum, al quale va ad aggiungersi anche l'approdo in pubblicità. Come si trova nelle vesti di testimonial?
Sono un testimonial privilegiato, quindi bene. Ho sempre lavorato con creativi stimolanti, team tecnici e produttivi di alto livello, registi importanti, gli script sono sempre stati nelle mie corde, le campagne - dal mio punto di vista - ben dosate e non troppo invasive... Faccio pubblicità, ma con parsimonia.
Lei è un chiaro esempio di utilizzo del testimonial unito a un approccio umoristico. Basta l'ironia a mediare un messaggio al pubblico?
Questa domanda andrebbe posta ai tecnici del settore, gli uomini del marketing...
Da Mayò a Eni fino al famoso 89.24.24 di Pagine Gialle. A quale di queste campagne è più legato e, qualora non ci fosse una preferita, ci svela cosa l'ha spinta ad abbracciare la promozione di quei determinati marchi?
La sintonia che si è creata negli anni (lavoro con loro dal 2000!) con Aurelio Tortelli e il gruppo di creativi che lavorano alle campagne dell'89.24.24 è impagabile. Affettivamente, però, sono molto legato a Mayò: l'idea del maialino nacque per gioco, una sera a cena con l'amico Giorgio Terruzzi. Non avevo mai fatto pubblicità e quando mi arrivò la proposta, la proposta creativa non mi allettava. Ho detto di no e mi fu lanciata la sfida: se nel giro di 24 ore avessi avuto un'idea, l'avrebbero valutata. Quella sera Giorgio era a cena a casa mia e, messa a nanna mia figlia nata da poco, abbiamo provato a parlame. Così, tra un bicchiere di vino e le mille sigarette di Giorgio, è nata l'idea folle di proporre un maialino per vendere una maionese, Il giorno dopo mandai il fax...
In un momento storico in cui le star hollywoodiane si rifugiano in Paesi stranieri per diventare testimonial senza temere ripercussioni, lei non ha mai avuto il pensiero che l'impegno in pubblicità potesse ripercuotersi sulla sua carriera di attore?
Francamente no. Nella mia vita professionale non ho mai fatto nulla di cui non fossi artisticamente convinto.
Il suo ruolo di testimonial è però bifronte. Non solo spot commerciali ma anche campagne legate al mondo del non profit (come ad esempio per la campagna Bimbinbici di FlAB Federazione Italiana Amici della Bicicletta onlus). Come è andata nelle vesti di testimonial sociale?
Molto bene, direi. Da un po' di anni ho deciso di "sposare" un'associazione, il Cesvi. Li ho conosciuti, sono persone serie e affidabili, e Giangi Milesi regolarmente mi documenta l'impiego dei fondi che raccolgono. Assieme abbiamo trovato una modalità per collaborare compatibilmente con i miei impegni professionali e privati. Ho fatto questa scelta perché settimanalmente ricevo una media di 10-15 richieste di adesione o partecipazione a iniziative che hanno a che fare con il mondo del non profit. E difficile dire di no, perché la maggior parte delle richieste riguardano situazioni veramente dolorose. Ma al di là del poco tempo che ho e delle necessarie verifiche che sempre voglio fare (oggi il non profit può anche essere, purtroppo, semplicemente un strategia di comunicazione), l'adesione "a pioggia" da un lato non mi permetterebbe di sentirmi parte di un progetto, dall'altro vanificherebbe l'effetto richiesto: tin aiuto per attrarre l'attenzione dei media che, sulle questioni riguardanti "il sociale" sono abbastanza latitanti...
Quali sono le principali differenze (o opportunità, difficoltà..) tra l’essere testimonial di una campagna commerciale e sociale?
La prima differenza è ovviamente economica! Non solo il testimonial sociale non viene pagato, ma anche i mezzi economici a disposizione non sono assolutamente paragonabili con quelli del mondo pubblicitario. L'altra differenza fondamentale è il coinvolgimento personale: tu aderisci a un progetto, piccolo o grande che sia, lo sposi, lo fai tuo.
La vedremo ancora testimonial?
Perché no? Per ora sono ancora "il Walter".