Mai dire noi. Tutto quello che NON avreste voluto sapere
Ah no?
con Claudio Bisio
Hai un comico bravo a fare i personaggi e le parodie, con una capigliatura folta, però decidi di renderlo pelato e di fargli fare il conduttore. Poi hai un altro comico, bravo a presentare e a fare da spalla, pelato, ma decidi di mettergli le parrucche e di fargli fare i personaggi. Breve storia triste di Claudio Bisio a «Mai dire Gol».
GIORGIO: Questa volta partiamo noi con il raccontare il nostro primo incontro: venimmo a vederti allo Zelig e tu facevi un kara- teca, senza testo: di fatto emettevi suoni gutturali e pernacchie, e sputavi addosso alla gente in prima fila. Ovviamente impazzim- mo di gioia e ti invitammo a Radio Popolare il giorno dopo. Tu, gasatissimo, rispondesti: «Certo, vengo!». E, ovviamente, non ti presentasti.
CLAUDIO: Questo è un mio classico: mai dire «no». Però, poi, abbiamo fatto insieme «Una notte all'Odeon», anche se a un certo punto voi siete scappati perché dovevate lavorare a «Drive In» e mi avete lasciato lì, solo come un pirla, a registrare i miei pezzi. E alla fine ci avete messo altri sette anni per richiamarmi a fare «Mai dire Gol». Per dire: avete contattato Aldo, Giovanni e Giacomo prima di me. Sono cose che non dimentico.
MARCO: Ma cosa stai dicendo? Ti sei veramente rincoglionito con l’età. Tu eri impegnatissimo, infatti quando sei venuto nel 1997 ci siamo quasi stupiti.
CARLO: Tra l’altro abbiamo rischiato di litigare subito, perché nella prima puntata decidemmo di farti fare una gag in studio, per parodiare quello che era successo al Tour de France, dove uno striker si era messo a rincorrere i ciclisti completamente nudo. Quel giorno in studio, però, c’era un fotografo dell’ufficio stampa, che si è rivenduto le foto a un giornale scandalistico. Tu, arrabbiatissimo, stavi quasi mollando il programma dopo una sola puntata.
CLAUDIO: Ma ora parliamo di cose belle e divertenti...
GIORGIO: Non ne ricordo nemmeno una.
CARLO: Una tua peculiarità era quella di presentarti alle prove con un testo di poche righe, con cui si sarebbe potuto fare sì e no un minuto di sketch, e poi, quando si registrava, improvvisavi praticamente tutto, arrivando anche a sei minuti.
CLAUDIO: In particolare quando facevo il personaggio di Micio, il manager dei calciatori: tra l’altro, anticipando di anni lo strapo- tere dei procuratori. I suoi tormentoni erano: “Ascolta un cretino!” e “Ah no?”. L’idea originaria era quella di fare una parodia di Lu- ciano Moggi, deus ex machina del mercato della Juventus, ma mi veniva malissimo, così optammo per un personaggio di fantasia. Il look di Micio era ispirato al compianto Franchino Tuzio, che negli anni è stato manager di Fiorello, Nicola Savino, Alessandro Cat- telan, Michelle Hunziker e di molte veline di «Striscia la Notizia».
GIORGIO: Io odiavo il personaggio Biru Biru, perché ci volevano due ore di preparazione per poi registrare neanche trenta secondi di gag. Invece amavo molto Dario Fo.
CLAUDIO: Fu un’idea di Carlo: lo scrisse il giorno in cui Fo vin- se il Premio Nobel. Era anche l’unica imitazione che sapevo fare, perché avevo già lavorato con lui. Ricordo che, per colpa di quella parodia, mi tolse il saluto Dario Ballantini, di «Striscia la Notizia», perché ce l’aveva anche lui nel repertorio: era pronto a farlo, ma l’anticipammo di mezz’ora. Spiace.
MARCO: Io impazzivo per il Dottor Imbruglia.
CLAUDIO: Dovevamo fare la parodia del professor Di Bella, venuto alla ribalta delle cronache per una controversa cura contro il cancro, ma anche lì c’era poca somiglianza, così nacque Imbruglia. Nell’ultima puntata venne ospite Enzo Jannacci, che Imbruglia de- finiva il suo punto di riferimento per la medicina moderna. Enzo improvvisò, per un buon quarto d’ora, la parte di un meccanico che, con le chiavi inglesi in mano, parlava del corpo umano. Ovviamente tagliammo l’intervento a soli quattro minuti. Mi piacerebbe avere il girato totale, perché era eccezionale.
GIORGIO: Che personaggio hai amato di più?
CLAUDIO: Micio numero uno, anche se Imbruglia e Marcel Bisiò, il mimo che parlava perché non si capiva quello che mimava, hanno il loro perché. Micio è quello che è rimasto di più, il più forte. Era quello più coerente con «Mai dire Gol» e poi si univa anche al fatto che io non sapessi un cazzo di calcio. Lo scrivevo con il geniale Walter Fontana. Mi immaginavo che Micio avesse una doppia vita: procuratore di calciatori di giorno e di prostitute di notte. Era quello più divertente, che permetteva di interagire tanto con voi: c’era molta improvvisazione. Bisiò, invece, è l’unico personaggio che rivendico come totalmente mio.
CARLO: Un personaggio di nicchia, ma che mi piaceva molto, era Herr Transformer: un mago trasformista.
CLAUDIO: Era un Arturo Brachetti che non ce l’ha fatta. Feci anche una canzone con le uniche due parole tedesche che conosco: flughafen e Gruss Gott, ovvero «aeroporto» e «Ciao».
MARCO: E vogliamo dimenticare Puddu, il pugile pavido?
CLAUDIO: Dovevamo scegliere il nome del personaggio e lo chiamammo Lino Puddu. Il nome Lino era quello del nostro produttore Tatalo, poi ci aggiungemmo Puddu, cognome ispirato a un pugile degli anni Settanta di discreto successo, Tonino Puddu. Il problema è che poi Tonino Puddu provò a querelarci. Disse che, dopo le nostre puntate, al bar lo prendevano tutti per il culo. La chiave comica era che si trattava di un pugile scalmanatissimo fino al gong, e che poi se la faceva sotto dalla paura. Dovemmo presentarci tutti a Palazzo di Giustizia a Milano per parlare con il magistrato che avrebbe dovuto decidere se procedere o meno con la querela. Il nostro avvocato disse: «Non è sicuro che vinciamo. Non dovete contraddirvi, dovete avere tutti la stessa versione: se trovano una contraddizione è finita!». Poi in tribunale ci ricevettero uno alla volta. Entrai io per primo e dopo un quarto d’ora uscii in manette.
MARCO: Ci credemmo per un secondo, poi scoppiammo a ridere. L’interrogatorio vero quanto durò?
CLAUDIO: Credo due o tre minuti al massimo: il resto del tempo lo passammo con il giudice e il poliziotto a escogitare lo scherzo.
GIORGIO: Noi non facemmo nemmeno la deposizione, tanto era evidente che si trattasse di una minchiata.
CLAUDIO: Ora però voglio farvi io una domanda: vi stimo molto, lo sapete, però perché avete preso Gioele Dix per fare il conduttore pelato, mettendogli una calotta in testa, mentre a me avete messo le parrucche per fare personaggi improbabili? Vi rendete conto che non aveva senso?
MARCO: Hai ragione, ti chiediamo scusa: è stata una grande cazzata.
CARLO: Esatto, e non è certo stata l’unica.
CLAUDIO: Però sono stati anni bellissimi, ci siamo divertiti molto. A parte le esterne di Crozza in cui facevo il sindaco: una volta mi sono pure rotto un menisco saltando giù da un’Apecar sul Lago Maggiore. Però i balletti di gruppo, i disturbi in studio, i finali corali con Fabio De Luigi (che vi segnalai io), Luciana Littizzetto, Maurizio Crozza e Ugo Dighero erano eccezionali. Corali per modo di dire, perché mancava sempre Daniele Luttazzi che scappava.
CARLO: Tu sei anche l’unico che sia riuscito a chiudere uno sketch senza apparire o dire niente.
CLAUDIO: Ricordo bene quello sketch: Gioele faceva Alberto Tomba e portava a Ellen il libro con i suoi migliori ricordi e, alla fine del libro, mettemmo delle foto di me completamente nudo fatte in camerino. Prima della registrazione avevo detto: «Tranquilli, ci penso io a farla ridere!». Ellen iniziò a singhiozzare senza possibi- lità di riprendersi. E chiudemmo così.
GIORGIO: Alla fine com’è stato lavorare con noi?
CLAUDIO: Il bello è che ti divertivi, valorizzavate molto i comi- ci, anche se i testi erano claudicanti o, come nel mio caso, praticamente inesistenti. La cosa difficile è che avete tre personalità completamente diverse, quindi un personaggio che piaceva a due di voi magari faceva schifo al terzo. Come Biru Biru, che Giorgio detestava. Siete tre organi separati: Carlo è la testa, Marco il cuore e Giorgio la pancia.
GIORGIO: Per me andava bene anche la minchia.
MARCO: Poi te ne andasti e fosti il primo a dire che «Mai dire Gol» era una montagna che partoriva un topolino: tantissimo lavo- ro per cinquanta minuti di trasmissione. Volevi fare il presentatore a «Zelig».
CLAUDIO: Vero, ma anche a «Zelig», forse, avrei potuto smettere otto anni prima: io sono per le cose brevi. Però non ci lasciammo male, o sbaglio?
CARLO: Noi ci rimanemmo male, ma capimmo.
GIORGIO: E poi forse soffrivi un po’ la presenza di Crozza: eravate due galli in un pollaio.
CLAUDIO: Probabilmente hai ragione: riesco a dare il meglio di me se sono il numero uno. A «Zelig» ero il numero uno indiscusso e, di conseguenza, mi sentivo generoso con gli altri comici. Ma «Mai dire Gol» è una delle cose più belle che ho fatto, e sempre a livelli altissimi. Vi basta questo ringraziamento o volete anche dei soldi indietro?
MARCO: Soldi no, è venale. Un appartamento?
tratto da