Rugbyland

Rugbyland

Ma insomma, come ve lo devo dire? Una volta per tutte, credetemi, io a rugby non ci ho mai giocato!

Sì, è vero. Un giorno un compagno di liceo di nome Samoa mi ha invitato a un allenamento dei suoi gloriosi Chicken, ma non è finita bene: Samoa si è lussato la spalla, e io non ci ho provato neppure, ad allenarmi, perché mi è mancato il coraggio. Sì, è vero che un amico giornalista, un trequarti promettente, mi ha poi trasmesso la passione più autentica per il gioco del rugby, ma insomma, la verità è che io le porte ad H le ho viste poco e solo da lontano. Almeno fino alla preparazione di un film, che mi ha permesso di partecipare davvero a qualche allenamento (e a qualche sontuoso terzo tempo, dove ho cercato invano di farmi valere).

Eppure è accaduto di nuovo: perché sono almeno vent'anni che periodicamente qualcuno mi chiama, mi scrive o mi invita a parlare del mio rapporto con il mondo del rugby (sì, lo so, è tutta colpa del film: si chiama “Asini”, ed è ambientato nell'universo ovale). E a dir la verità, quando ormai puntualmente ringrazio, facendo notare che in realtà non ho mai giocato davvero a rugby, bè ultimamente la cosa funzionava, nel senso che qualche istante dopo la comprensibile delusione altrui potevo finalmente riposare in pace.

Stavolta non è successo.

“Claudio, noi ti abbiamo cercato proprio per questo: ci serve qualcuno che da bambino non ha giocato a rugby!”

E allora, mannaggia, mi sono incuriosito.

Perché al di là dei tuffi in meta, delle cavalcate solitarie con la palla sotto il braccio, del territorio da conquistare metro dopo metro e dell'ovale che non sai mai bene dove rimbalza, questo viaggio nelle città italiane del rugby è pieno di gente che ha giocato da bambino (e che magari poi è finita in nazionale). Ma è piena anche di altre cose strane, come miti greci e fumetti, aneddoti e canzoni, filosofi e osterie, campetti di periferia, ristoranti in riva al mare, politica, terremoti, panettieri. E poi ci sono le dieci regole fondamentali per chi non ne sa niente e vuole provare a giocare. E poi, soprattutto, c'è il rugby femminile, che adesso, dopo che ho provato a tenere una rubrica della posta del cuore su una rivista che non c'è più mi sento finalmente di poter comprendere a pieno. E se c'è una cosa che ho imparato frequentando questo mondo senza giri d'affari e allori, fatto di fango e passione, è che davvero non ci sono ruoli privilegiati, ma ci sono coraggio e rigore, voglia di faticare, disponibilità alla condivisione. “Nel rugby la palla si tiene con due mani e la si passa verso il compagno all'indietro, come un dono. Perché? Perché questa è la regola. Perché nel rugby prima di prendere si deve dare,” si diceva nel film. E in questo libro così corale, costruito metro per metro da un manipolo di asini coraggiosi, ci voglio stare anch'io.

 

Claudio Bisio