Odi et amo
C’è Rino, c’è Rume, Remo, Romolo e c’è Nacolo
E’ curioso. Ogni anno di questi tempi (fine Febbraio, inizio Marzo) la mia Smemo (ebbene sì!, anch’io uso la Smemo) è piena di scritte che riporto di settimana in settimana che recitano più o meno così: ‘scrivere il pezzo x smemo’ oppure ripetono più semplicemente il tema dell’anno.
Quest’anno, quindi, mi sono trovato più volte a rileggere, tra ‘pagare l’Iva’ (che non è la mia amica prostituta di via dei Mille, ma la ben nota imposta sul valore aggiunto) , ‘Comprare Michelle’ (che non è la ben nota soubrette che tra l’altro non ha prezzo, ma il cd rimasterizzato della mitica canzone dei Beatles e ‘Fare la ceretta’ ( non a me, beninteso, né a qualche amica con particolarissime perversioni sessuali. E’ un semplicissimo e innocuo hobby… beh, innocuo mica tanto. Tutto iniziò anni fa quando un amico (mi rendo conto che sto aprendo l’ennesima parentesi, perciò la storia della ceretta la scriverò in corsivo in modo che chi non fosse interessato può saltarla a pié pari (chissà perché si dice ‘a pié pari’, come se fosse più facile saltare a piedi pari, paralleli che a piedi dispari, sfalsati, cioè come normalmente si salta (ammesso che normalmente si salti)…basta!).
Anni fa un amico di cui ometto il nome per non comprometterlo (Nico) beh, basta non far capire il cognome (Pilastro) ci mandò un invito per una ‘ceretta’. In realtà lui voleva invitarci a una cenetta, ma la sua calligrafia era peggio di quella dei medici (che hanno conseguenze ben peggiori. Non avete idea di quante supposte mi sia mangiato e quanti sciroppi mi sia clisterizzato a causa di quella o-r minuscola corsiva che se scritta in fretta e male somiglia così maledettamente a una a-n!).
Morale, noi riceviamo un invito per una ceretta tra amici. Nessuno dice niente all’altro per non sembrare demodé (eravamo in pieno riflusso, il personale era politico e la creatività doveva andare al potere), per cui ci troviamo tutti con la nostra bella spatola e crema depilzero i più banalotti, mentre con la sua bella cera d’api il più coraggioso, naturista e al tempo stesso etimologicamente corretto (perché di ceretta si era parlato, non di cremetta). Tutti comunque pronti allo storico ‘strappo’ (dopo quello nei confronti del comunismo sovietico, quello nei confronti del pelismo superfluo). Tutta qui la storia. O quasi. Una volta svelato il fraintendimento ne ridemmo, ma già che c’eravamo (e mai verbo fu più appropriato) provammo a leggere le istruzioni e ad applicarle. Piacque. Ancora oggi se passate verso metà Febbraio sotto le finestre di una certa casa di via Imbonati, a Milano, mentre gli altri festeggiano San Valentino o San Faustino, questi ex adoratori di San Pietrino rendono omaggio a San Cerino, dando fuoco alla cera, spalmandosela su gambe, schiena, ascelle e strappandosela a vicenda tra urla di: piacere, dolore e altre ingiustificate. Un rito pagano di purificazione, una zingarata tra amici o più semplicemente un atto collettivo di igiene intima? Io lo chiamerei piuttosto, come ho già detto, un innocuo hobby, una scusa per rivedere vecchi amici e parlare degli anni passati: un ‘Grande freddo’ (anzi, vista la temperatura della cera, ‘Grande caldo’).
Dicevo che quest’anno sulla mia Smemo mi è capitato di leggere più volte: ‘Odi et amo’. E devo dire che di questi tempi, con una ventina di morti israelo-palestinesi alla settimana, la parola odio fa venire un po’ i brividi.
(ODI ET AMO si può leggere anche O DIETA M.O.)
Insomma, trovo un po’ forte quell’odio. E per contrasto anche quell’amo. Oggi, in tempi di ricicli, bicamerali, concertazioni, i toni devono essere più morbidi, più bipartizan, più flou. Insomma, più democristiani. Allora, una più corretta traduzione contemporanea di odi potrebbe essere: disprezzo, aborro, dissento. E di amo: voglio bene, ammiro, mi congratulo. Ecco quindi la giusta traduzione di odi et amo: dissento e mi congratulo (preceduto da un mi consenta che come il nero va con tutto, anzi lega con tutto).
P.S.
Nico Pilastro che ha letto queste mie righe mentre si cerettava i peli del naso dice che non ho capito niente. Odi è voce del verbo udire, seconda persona singolare, presente indicativo; e amo è inteso da Catullo nel senso più fisico possibile. La giusta traduzione sarebbe quindi: tu ascolti e io ciulo. Non a caso l’altro anni dopo gli risponderà: odo augelli far festa.
Potrebbe aver ragione lui, penso io strappandomi anche gli ultimi peli sulla lingua.