La toga di Sara
racconto a puntate pubblicato su Vivimilano (1993)
Capitolo primo
Milano. Un pomeriggio di fine ottobre. Sembrava una giornata come tutte le altre. Mai avrei sospettato che da quel giorno niente sarebbe stato più come nelle dodicimilasettecentonovantacinque giornate precedenti. Ma procediamo con ordine.
Ero lì alle prese con Marvin, il quale continuava a cestinare tutto quello che scrivevo... Marvin non è un cane. È il mio computer. Il rapporto che ci lega è un rapporto complicato. Non ho ancora capito se mi stima o se mi considera un cretino. Comunque, mentre ero lì con Marvin squillò il telefono. Era il caporedattore del giornale che mi affidava un importante servizio. Dovevo andare a vedere l'ultimo film di Woody Allen con un noto sessuologo e scoprire se Woody era uno stupratore di bambine oppure no.
Il giorno dopo partii per Roma. Perché proprio Roma vi chiederete? Perché il sessuologo è di Roma, mi rispose il direttore. Avrebbe potuto venire lui a Milano, incalzai io. Ci fu una lunga contrattazione via fax su chi doveva spostarsi e su chi doveva pagare il biglietto del cinema. Alla fine andai io a Roma (lui avrebbe pagato il cinema).
Ero molto nervoso. E se lui avesse interpretato la parte di quello-che-ha-lasciato-il-portafoglio-a-casa? Inoltre l'idea di incontrarmi con il noto sessuologo mi creava un certo fastidio. E se poi mi avesse fatto domande intime? (Sapevo che stava lavorando ad una "garzantina" sulle turbe sessuali). Dovevo correre il rischio.
Il noto sessuologo in realtà era un omino molto discreto, equilibrato ed affabile. Unica stranezza quella di farsi accompagnare dalla mamma. Un donnone di un metro e ottanta. Lei sì che incuteva un certo timore. Entrambi, madre e figlio, erano convinti che il regista fosse malato. Il film ne era una dimostrazione lampante. Il loro discorso non mi sembrò molto convincente, ma se devo essere sincero non me ne fregava niente delle perversioni sessuali di Woody. Avevo già le mie da tenere a freno. Mi limitai a fare il giornalista.
Quando tornai a casa accesi Marvin e cominciai a lavorare all'articolo. Dopo essermi spremuto le meningi per circa tre ore con scarso risultato, decisi di spremere mezzo chilo di agrumi che unito a tre uova sbattute, un cucchiaio di estratto d'acero, mezz'etto di farina di soia e a quel pò di succo di meningi che avevo ricavato, fu la mia frugale cena per quella sera di fine ottobre. Dopodiché tornai al lavoro. Ma al posto dell'articolo che stavo scrivendo, sulla videata del computer comparve uno strano messaggio:
È giunta l'ora della grande rivolta. I cieli si squarceranno e dalle profondità della terra risorgeranno le ombre dei vecchi sapienti.
Il vento del sud si leverà con tutta la sua inenarrabile potenza e farà tremare il mondo degli uomini. Si prepara il tempo dell'Apocalisse.
Non mi ricordavo di aver scritto una tale sciocchezza. Presi il messaggio e lo gettai nel cestino, senza farci troppo caso.
Il giorno dopo mi telefonò la madre del noto sessuologo e mi disse che suo figlio, che come tutti i martedì era andato a portarle la roba sporca da lavare, era stato trovato morto nella vasca da bagno. L'immagine che mi descrisse era raccapricciante anche per uno stomaco forte come il mio. In testa aveva una cuffia di plastica a pois rossi , in bocca una spugna intrisa di latte detergente, nella schiena un pugnale conficcato di sguincio e in mano un'ochetta portasapone con un messaggio dal contenuto misterioso. Pregai la donna di leggermene il contenuto e di conservarmi l'ochetta (la mia aveva ripreso a bucarsi). Incredibile! Il messaggio era lo stesso che avevo trovato su Marvin (e l'ochetta era della mia marca preferita!)
Feci per accendere il computer ma mi accorsi che era già acceso. Chiesi a Marvin di dirmi che cosa stava succedendo. Fece spallucce. Gli chiesi se c'erano altri messaggi. Mi disse di sì, ma che la nostra società non era ancora pronta a recepire tali verità. Gli ricordai che non era Buscetta. Rifece spallucce. Allora misi sul piatto un disco di Amedeo minghi e lo feci girare. Marvin era un grande appassionato di musica. La ascoltava tutta: jazz, classica, merenghe, fusion, lirica, rap, pop, country, rock, country-rock, etnica, dodecafonica, leggera... non era uno snob.
Ma Minghi proprio non lo sopportava.
Abbassai il volume e Marvin mi fece leggere il nuovo messaggio:
Io sono quella forza che vuole costantemente il male e opera costantemente il bene. Tutto cò che è sopra si trova anche sotto.
Pan en to pan. tra poco si compirà la settima ora, l'ora della negritudine, della putrefazione. I quattro elementi saranno presenti alle nozze di fuoco.
In poche parole tu sei stato prescelto. Nel vecchio quattrocento troverai la traccia che cerchi.
Lessi e rilessi quelle parole. Nonostante la mia cultura fosse tra le più quotate, mi sembravano senza senso. Eppure c'era stato un omicidio e il fatto che il primo messaggio si trovasse nella mano della vittima (anche se scrito su un'ochetta) faceva prevedere qualcosa di serio. Un megalomane, pensai, che cerca di spaventarmi. Ma come cavolo fa a collegarsi al mio computer. Accesi due sigarette, una per me e una per Marvin. Ero nervoso e nello stesso tempo anche molto eccitato. Non riuscivo a capire perché diavolo Marvin continuasse a tossire. Poi mi accorsi di avergli dato la sigaretta dal lato della brace.
Pensai a quale nesso potesse esistere tra l'omicidio del sessuologo e quei messaggi sul mio computer. Presi i Propilei e mi studiai la storia del Quattrocento. Niente. Suona il telefono. È Teresa. Porca miseria, mi ero dimenticato. Le avevo promesso di invitarla a cena al 'Vecchio quattrocento'. "Che scemo - le dico- il 'vecchio quattrocento' è un ristorante!" "Scusa? - mi fa lei - non avrai mica ricominciato a farti, come la tua ochetta?". "No, no, non ti preoccupare, è una storia complicata... poi ti spiego. Ti passo a prendere."
Capitolo secondo
Riassunto della puntata precedente.
(La storia ha inizio in un pomeriggio di fine ottobre nella città di Milano. Protagonista è un giornalista che si trova coinvolto in un caso di omicidio. La vittima è il noto sessuologo da lui intervistato sull'ultimo film di Woody Allen. Due strani messaggi compaiono sullo schermo di MARVIN, il computer del protagonista.)
Seduto al tavolo del ristorante raccontai a Teresa i fatti. Lei mi guardò e scoppiò a ridere. Cominciò a prendermi in giro mentre il cameriere mi serviva una bella milanese vestita. Teresa mi disse che era il solito scherzo di Michele, mentre io spogliavo lentamente la bella milanese togliendole i pomodori che mi provocano acidità di stomaco. Teresa disse che avevo torto a prendere sul serio questa storia e che Michele mi avrebbe fatto fare la figura del pirla davanti a tutti. "Teresa è una che crede di avere sempre ragione ma in questo caso si sbaglia, lo so. Non sul fatto che sono un pirla. Sul fatto che ho torto." pensai pulendomi i pantaloni dalle macchie d'olio lasciate dai pomodori prima di cadere sul cotto (inteso come pavimento). Poi arrivò Braciola, che non era un'altra pietanza, ma un mio amico che faceva il comico. Lo pregai di raccontarmi la barzelletta della tromba, un suo pezzo forte. Il locale era molto rumoroso. Braciola infervorato urlava per farsi sentire, io e Teresa ridevamo a crepapelle, le milanesi nude e anche un pò mutilate piangevano in silenzio, quando mi cadde l'occhio sulla parete di fronte . Dopo averlo raccolto, mi accorsi che vicino alla foto di Gullit e a quella di Baresi c'era la foto del noto sessuologo. Erano proprio tempi in cui non si distingueva più il sacro dal profano.
Baciai le effigi di Ruud e Franco, strappai la foto del sessuologo dalla parete e senza farmi accorgere me la misi in tasca. Poi con la scusa che dovevo finire l'articolo me ne tornai a casa. Nel frattempo su Marvin era apparso un altro messaggio, il più misterioso:
Nel retro delle cose a volte si nasconde il mistero.
Grazie a Marvin fui in grado di decifrare quelle parole:
Nel retro delle cose a volte si nasconde il mistero.
Girai la foto. Dietro c'era scritto qualcosa, un indirizzo. La Grande Casa d' Oriente - Via degli Umiliati 45. Quel nome non mi era nuovo. Mi ritornò in mente un articolo che avevo letto pochi giorni prima sulle logge massoniche. Sfogliai i giornali finché lo trovai.
"La 'Grande Casa d'Oriente' si distingue dalla 'Piccola Casa d'Oriente' primo perché ci sta più gente, secondo per il fatto di essere stata riconosciuta come associazione di pensiero dalla Chiesa Cattolica Romana."
Il giorno dopo mi recai a quell'indirizzo. Suonai il campanello.
Dissi di essere un sociologo e che stavo facendo una ricerca sulla massoneria come status symbol.
Mi fecero entrare. Mi venne incontro un uomo sulla cinquantina il quale mi strinse molto energicamente la mano e mi pregò di seguirlo nel suo studio. Io, un po' per riconoscenza un po' per vendetta, gli mollai un'energica pacca sulla schiena e lo seguii. Lui si voltò, mi fissò intensamente negli occhi serrando i pugni e mi chiese qual'era la mia specializzazione. "Pensiero effimero" risposi "Interessante" disse lui mordendosi le labbra fino a farle sanguinare.
Mi parlò del doppio triangolo, del pentagramma, della tavola smeraldina, della piramide, dei quattro cantoni, di palla avvelenata... mi dette l'impressione di essere una persona seria. Con nonchalance tirai fuori dalla tasca la foto del sessuologo ."Conosce quest'uomo?" gli chiesi piantandogli negli occhi una lampada da 2000 Watt. Mi disse di no, ma ebbi l'impressione che mi stesse mentendo. Non saprei dire esattamente da cosa lo capii. Forse dal tono increspato della sua voce, forse dalle sue dita che mi sembrarono incrociarsi dietro la schiena, o forse dal suo naso che si allungò di circa trenta centimetri. Mah. Feci finta di niente. Lo ringraziai per le informazioni. Mentre mi stavo dirigendo verso l'uscita mi parve di udire una voce familiare. Una voce profonda, baritonale. Salutai il massone e mi diressi verso casa.
Era un sabato pomeriggio e a Milano avevano aperto le gabbie. Gente che correva da una parte, gente che correva dall'altra, gente che correva sul posto. Negozi pieni, strade intasate, aria puzzolente. Notizie di arresti eccellenti sui giornali dell'ultima ora, pestaggi nelle piazze tra ebrei e naziskin. Tutto nella norma, pensai. Nella 'Norma', ma certo! Puccini, la Scala... la voce baritonale, ma femminile. Improvvisamente mi ricordai di chi era quella voce. Era della mamma del sessuologo. Ma come mai si trovava lì? Presi la metropolitana e tornai a casa avvolto nei miei pensieri come un ripieno nel suo involtino. Arrivato a Molino Dorino mi accorsi di aver preso la direzione sbagliata. Invertii rotta e gravido di stanchezza, mi assopii. E in quello stato di dormiveglia non mi importava più di Marvin, del sessuologo, di sua madre, di Gorla, di Turro, di Precotto...arrivato a Sesto Marelli mi svegliai. Risi di me stesso e finalmente presi la direzione giusta: INGANNI. Inganni...come quelli di cui mi sentivo vittima. Ormai tutto mi sembrava un simbolo, un messaggio: PAGANO è il nostro modo di vivere...BANDE NERE, i nostri nemici... DE ANGELI, coloro che condurranno la CONCILIAZIONE!
A PRIMATICCIO mi trovai tutto tremante e sudaticcio in fondo alla carrozza. Uscii dalle tenebre della sotterranea e presi un taxi. Finalmente riuscii ad arrivare a casa. Forse per esorcizzare, forse perché mi era effettivamente venuta fame, vuotai il frigo. E comunque anche questa benedetta giornata era finita. E invece no. Sentii la voce di Marvin che mi chiamava. Uno scherzo? Un'allucinazione? ...no.
La realtà. Sul video era apparso un altro messaggio.
Capitolo terzo
Riassunto puntate precedenti
(Un giornalista milanese intervista un sessuologo romano sull'ultimo film di Woody Allen. Il giorno dopo il sessuologo viene assassinato. E su Marvin, il computer del giornalista, appaiono strani messaggi che lo conducono alla sede di una setta massonica dove riconosce la voce della mamma del sessuologo. Torna a casa e trova un altro messaggio su Marvin.)
Troverai il lapis laddove tu non osi guardare. Il significato profondo delle cose risiede nelle cose stesse. Tu che non sei padrone neanche a casa tua ora devi affidarti ad un bambino per procedere oltre.
Il giorno dopo mia sorella mi chiese se potevo tenerle il bambino.
Veramente non sarebbe corretto dire che me lo chiese. Semplicemente suonò il campanello e scappò via lasciandomi il pargolo fuori dalla porta. Avrei potuto far finta di niente e continuare a dormire. Avrei potuto scappare dalla finestra. Avrei potuto incrementare la tratta dei bianchi. Ma in fondo in fondo ho anch'io anch'io un cuore un cuore (e in casa mia ultimamente c'era una fastidiosissima eco). Decisi così di far entrare mio nipote e di tenere le finestre aperte per diminuire l'eco l'eco l'eco (che invece aumentò). Ad un tratto cominciai a sentire uno strano odore. Non era il solito odore di wang tong fritti del 'Cinese' sotto casa. Neanche quello di gulash in umido dell'ungherese all'angolo...e neppure quello di Chanel della profumeria di fronte. No. Era...era...era il pargolo che si era cagato addosso. Pensai di chiamare la croce rossa, il telefono azzurro, i pompieri...poi decisi che dovevo cavarmela da solo. Fu una delle imprese più difficili della mia vita. Stavo per gettare la spugna, e non solo in senso figurato, quando vidi che in mezzo alla sostanza secreta da mio nipote c'era qualcosa che luccicava. Era una chiave. Che possedeva un numero. E il numero era 777.
Sette. Perché proprio quel numero. E poi ripetuto tre volte. Numeri magici: il tre, la trinità, il triumvirato, i tre porcellini...e il sette, i sette peccati capitali, le sette meraviglie del mondo, i sette re di Roma, i sette nani. Inoltre 666 è il numero del Diavolo. Basta aggiungere 111, e cioè l'UNO per eccellenza che ritorna il 777, che è anche la pagina del televideo per i non udenti. I non udenti, cosa significa? Chi sono? Coloro che non sanno ascoltare. Cosa? Il verbo! Ero tutto assorto in questi miei alti ed adulti pensieri, quando mio nipote mi prese per mano, mi fece cenno di aprire la porta di casa e mi portò giù davanti alla casella della posta.
Sopra c'era scritto 777. Cavoli - esclamai - ma è la mia casella.
Tutta quella vicenda mi aveva coinvolto a tal punto che mi ero dimenticato di ritirare la posta per un sacco di giorni. Bolletta dell'Enel , del gas, della sip, rata del mutuo , multa, multa, multa, pubblicità della serie "Complimenti lei ha vinto un mliardo" e una busta chiusa con un sigillo rosso di cera lacca. Inutile dire quale busta la mia morbosa curiosità mi fece aprire per prima . Quella del "...ha vinto un mliardo" naturalmente. Non si sa mai. Questa potrebbe essere la volta buo...era la solita bufala. Allora aprii la busta col sigillo rosso. Recitava così:
La leggenda del Santo Graal ti indicherà dove potrai trovare la strada da seguire. 21 e 34 i numeri chiave.
Spulciai nella libreria di casa alla ricerca di qualche libro che mi illuminasse sulla leggenda del Santo Graal. Lo trovai. Dentro il libro trovai anche la mia carta d'identità che pensavo di aver perso. Trovai anche il capitolo che cercavo:
"Giuseppe d'Arimatea, ricco ebreo amico di Pilato ma anche di Gesù, viene accusato di aver sottratto il corpo di Cristo dopo la sua morte. Nel carcere gli appare il Cristo redento che gli affida la coppa dell'ultima cena e il potere spirituale, così come il potere temporale era stato affidato a Pietro. La coppa del Graal finisce col tempo nelle mani dei Catari."
Interessante pensai, ma io che c'entro? Presi a calci la cassetta delle lettere, anche perché avevo finito di leggere la posta, bollette comprese. Tornai in casa e presi a calci Marvin, perché era lui che ciucciava tanta elettricità. Ma così non si risolveva niente. Con calma spensi dunque il computer e decisi di scaricarmi i nervi mettendomi al volante della mia auto con l'intenzione di arrivare in un prato e stendermi sotto la grande quercia per pensare. Come nello spot. Ma la vita non è uno spot pubblicitario. Dopo due ore di fila in viale Papiniano a 500 metri da casa mia cominciai ad innervosirmi e così decisi di fare inversione e tornarmene indietro. Nel fare manovra tagliando in diagonale viale e controviale, sentii un rumore sinistro provenire dal sottosuolo. Ci siamo - pensai- l'Apocalisse. Ma quando scesi dalla macchina capii che si trattava di ben altro. Mi si era staccata la coppa dell'olio. Decisi di tornare a casa e portai a casa la coppa come cimelio di quella giornata infausta.
La signora Euridice, la vicina del piano di sopra che incontrai nell'androne, mi chiese cos'era quell'oggetto che tenevo sotto il braccio. La coppa del Santo Graal le risposi per evitare che mi sbrodolasse addosso la relazione dell'ultima assemblea condominiale. Lei abbozzò un sorriso e mi indicò un bambino che giocava con la spazzatura. "CRISTO, MIO NIPOTE!" Me ne ero dimenticato.
Tornato in casa, per farlo smettere di piangere gli dovetti dare la coppa dell'olio e cinquantamila lire. Lui mi indicò una scritta sulla coppa che prima non avevo neppure notato: 34 : 21. Presi la calcolatrice e divisi 34 per 21 ottenendo così il seguente numero: 1,619.
Sentii Marvin accendersi da solo. Andai nell'altra stanza con un cacciavite, una mazza da baseball e un disco di Minghi, pronto a rispegnerlo con ogni mezzo. Sul video era apparso un altro messaggio.
Capitolo quarto
Riassunto puntate precedenti
(Un giornalista intervista un noto sessuologo sull'ultimo film di Woody Allen. Il giorno dopo questi viene trovato morto in casa della madre. Da allora su Marvin, il personal computer del giornalista, compaiono strani messaggi, l'ultimo dei quali parla del Santo Graal e dei numeri 34 e 21. C'è odore di Cabala. Prova a dividerli. 34 : 21 = 1,619. Marvin si illumina e gli sforna l'ennesimo messaggio...)
Complimenti. Ci sei andato vicino. Il numero che hai trovato scarta di un solo millesimo il numero 1,618 che è Il numero d'oro e che ti indicherà la traccia successiva.
Suonò il campanello. Sobbalzai sulla sedia tanto ero nervoso (e non ero neanche seduto). Guardai dallo spioncino della porta e chiesi chi era. Mi rispose la voce di un uomo che diceva di essere l'elettricista che doveva installarmi il citofono.
"Non si ricorda, abbiamo fissato l'appuntamento per il giorno 16 alle18. Lei è il ventunesimoinquilino. Ce ne mancano ancora 34."
Qualcosa mi diceva che dovevo aprire la porta. Qualcos'altro che la dovevo tenere ben chiusa. La aprii a metà. L'elettricista entrò di sguincio insieme ad un uomo più anziano che in seguito scoprii essere suo padre. Mi chiese se avevo una scala, se vivevo da solo e se avevo mai giocato in borsa. Risposi SI alle prime due domande e NO alla terza. A questo punto lo incalzai io con una di quelle domande trabocchetto che solo un giornalista scafato come me sa confezionare: "Perché mi chiede tutte queste cose?" Mi confessò che per arrotondare lo stipendio lavorava anche per un istituto di ricerche statistiche. "Sa, già che giro per tutte queste case..." mi disse. "Ah" risposi io col tono di uno che ha capito, misto a quello di uno che ha ricevuto un trapano sul piede (era scivolato a quel vecchio rincoglionito del padre). Mi misi poi con curiosità a guardare i due che trafficavano con fili di diversi colori, cacciaviti, brugole....Mi affascina troppo vedere gli altri lavorare! Ma quella volta ci riuscii ben poco. Avevo il mio bel daffare a riempire tutti quei questionari che il doppio-lavorista mi aveva affibbiato. E quanti televisori ho, e quanti mezzi prendo per andare al lavoro, e quanto impiego a venire, e se parlo durante il coito, e se parlo sui mezzi per andare al lavoro, e se parlo mentre guardo la televisione...
L'uomo anziano che era stato sempre zitto, poco prima di andarsene mi fissò nelle pupille con il trapano nella mano tremolante e disse:
"Fino a quando gli uomini non si saranno liberati del rapace che alberga nel loro cuore, non vi sarà libertà. Bixarc è il capo dei rapaci. Finché la gente avrà bisogno dei rapaci essi esisteranno. Se possiedi la pietra, conservala e difendila a costo della tua stessa vita." e mi mise in mano un cubetto di porfido e un conto corrente intestato ai 'TESTIMONI DI BIXARC'. Suo figlio mi disse di non farci caso, che suo padre era un pò svitato e che comunque mi consigliava per il mio bene di saldare quel conto.
Rimasi senza parole. Mi ritrovai in mano il sanpietrino e il conto corrente prestampato: 161.800 Lire. Squillò il telefono. Risobbalzai sulla sedia. Questa volta ero seduto: difatti caddi, e la pietra mi cadde sulla rotula. Strisciai quindi fino al telefono. Alzai la cornetta . Era Teresa. Mi pregò di raggiungerla immediatamente a casa sua perché le era successo qualcosa di molto grave. "Più di quello che è capitato a me è difficile. Sta a sentire cosa mi è appena success...pronto. Pronto!" aveva già attaccato. Mi infilai il montgomery e corsi da lei. Suonai il campanello. Mi venne ad aprire la faccia sconvolta di Teresa, una faccia che non conoscevo. Non sembrava più lei. Poi mi accorsi di aver suonato il campanello sbagliato. Chiesi scusa alla signora col turbante in testa e salii al piano superiore dove abitava Teresa. Quando lei aprì la porta pensai di essermi nuovamente sbagliato, ma stavolta era proprio lei. Le dissi che la trovavo in forma e la pregai di raccontarmi cosa era successo. Lei mi confidò che da quando le avevo raccontato del sessuologo morto e dei messaggi su Marvin, le erano capitate strane cose. Tossì senza mettersi la mano davanti alla bocca. Abbozzai un sorriso. Ora non si sentiva più così sicura...soprattutto da quando i quadri avevano cominciato a parlare. "Che cosa?" le chiesi pensando di aver capito male. "Si, proprio così. All'inizio cercavo di non farci caso. Avevo paura di essere diventata schizofrenica. Ma io non sono malata, lo so. Loro dicono che io sono una catara arsa sul rogo e che vissi a Parigi intorno alla fine del 1200." "Loro chi?" chiesi a Teresa.
Mi indicò con un dito i ritratti appesi alle pareti della sua casa.
In uno l'immagine del 'Che' in Bolivia, nell'altro quella di 'Belushi' a Chicago e nel terzo quella 'mia' a Milano Marittima. Capii che il gioco si stava facendo sempre più pericoloso. Mi sentivo in qualche modo responsabile nei confronti di Teresa. Ma dovevo contare sul suo aiuto. Le proposi di venire a casa mia e di risolvere insieme quei misteri. Avremmo anche potuto organizzarci meglio mediante una divisione del lavoro. Lei si sarebbe occupata della casa, delle mie camice e del mangiare ed io avrei continuato a lavorare al computer. Lei accettò ad una piccola condizione.
Dopo aver impostato la lavatrice e stirato una decina di camice stavo per uscire e andare a comprare il pane e il giornale , quando sentii Teresa gridare. "Presto vieni c'è un altro messaggio."
Ora voi siete in possesso della pietra filosofale. Dovete rivolgervi all'uomo che parla per consegnarla all'uomo che tace sulla toga di Sara.
Il pentagono vi indicherà colui che è stato prescelto.
Capitolo quinto
Riassunto puntate precedenti
(Un giornalista indaga sull'omicidio di un sessuologo trovato morto in casa della madre. Su Marvin, il computer allergico a Minghi, compaiono strani messaggi che coinvolgono i Massoni, la Cabala, i Testimoni di Bixarc. Inoltre Teresa, la sua fidanzata, si convince di essere una catara arsa sul rogo nel 1200. E su Marvin, l'ennesimo messaggio criptico...)
Ora voi siete in possesso della pietra filosofale. Dovete rivolgervi all'uomo che parla per consegnarla all'uomo che tace sulla toga di Sara.
Il pentagono vi indicherà colui che è stato prescelto.
Ero veramente stanco di questi messaggi incomprensibili. Il computer dev'essere uno strumento. È una macchina, per diana! Una macchina da scrivere un pò più completa, dove tu scrivi, prendi appunti, e lei con una memoria cibernetica più potente della tua te li restituisce quando TU LO VUOI! Vidi Marvin piangere (o era solo condensa sul monitor?) Non ebbi pietà. Non era la prima volta che giocava la carta subdola dei sentimenti. Avrei voluto fargli del male, colpirlo nelle cose più care. Già, ma dove, cosa? Mi tornò in mente quella volta che litigai con un Boiler. (Non ho mai avuto un buon rapporto con la tecnologia). Era un Boiler rotto che casualmente mi era capitato sottomano. Dico 'capitato sottomano' primo perché la mia mano era sopra, secondo perché io ero lì, tranquillo, a leggere un giornale, non mi ero mosso. Era arrivato lui, il boiler rotto. Bene. Cioè, male, perché era rotto. Ma non importa, non mi lasciai intimorire: lo guardai negli occhi l'intero weekend...e vi assicuro che non è facile guardare negli occhi un boiler. Rotto per giunta. È che...sono sfuggenti. Poi lo presi per la coda. C'hanno la coda i boiler, no? Adesso non sono più così sicuro che fosse un boiler. Comunque la coda ce l'aveva. Ecco, se era un boiler era un boiler con la coda. Ed era sfuggente. Beh, lo presi per la coda e lo misi con le spalle al muro, qualsiasi cosa fosse. Avevo finalmente trovato il modo per affrontare la tecnologia: prenderla per la coda.
Già, ma dove teneva la coda quel maledetto computer? ... Eccola! Improvvisamente capii cosa significava prenderlo per la coda e come fargli del male, addirittura annientandolo: staccargli la spina. Lo feci. Niente, lo schermo continuava a pulsare con la scritta 'La toga di Sara - La toga di Sara'... Stavo ormai avviandomi verso l'eutanasia, estraendo l'ultimo album di Minghi che avrebbe definitivamente disattivato tutti i circuiti di Marvin, quando arrivò di corsa Teresa con un giornale in mano che lesse ad alta voce: "Per il momento il Pentagono continua a smentire ogni coinvolgimento della sesta flotta nel caso del DC 9 inbissatosi nel Tirreno. Il neopresidente Clinton ha comunque manifestato l'intenzione di andare a fondo sulla vicenda di Ustica." "E allora?"- chiesi io. "Ma come, non hai capito? L'uomo che parla è Bush e l'uomo che tace è Bill Clinton. Non ricordi che poco prima di essere eletto gli è andata via la voce e l'ha riacquistata due settimane dopo la sua elezione?"e ...e...la "toga di Sara" (indugiò e deglutì più volte prima di sparare la perla)... è la Saratoga, la portaerei americana che era nelle acque del Tirreno la notte dell'incidente di Ustica!" Io e Marvin ci guardammo. Marvin annuì, io scossi la testa (di Teresa ovviamente). Non potevo credere a quella storia di Bill Clinton come uomo nuovo. Gli americani, Teresa e forse Marvin potevano crederci. Io no. Io facevo parte della vecchia guardia: dei disillusi, degli anticipatori, di quelli che parlavano di riflusso in pieno '68. "L'uomo che tace - dissi - é l'uomo che conserva la memoria ancestrale di forme archetipiche che contrappongono dialetticamente le catartiche presenze escatologiche del non essere alle incestuose reminiscenze cannibaliche dell'essere.Non bisogna essere delle cime per capire concetti così semplici. Cavoli, quante volte ve l'avrò ripetuto! " Teresa lanciò uno sguardo a Marvin. Marvin lo evitò per un pelo, ma non fece una piega. Rimase rigido come il suo hard-disk. Si fissarono a lungo. Sentivo di avere finalmente fatto colpo sulle loro povere menti, loro invece chiamarono il mio psicoterapeuta dicendogli che avevo avuto un'altra crisi. Sbarrai gli occhi e cominciai a tremare urlando che no, non avevo una crisi! Stavo male per loro, ciechi di fronte all'evidenza, che 'toga' era un termine giovanilistico per dire 'carina, graziosa, squinzia' e Sara era sicuramente la giovane principessa inglese. Quindi 'la toga di Sara' andava letto come 'quella gnocca della Fergusson! E il Pentagono è...il Pentagono è...il simbolo di Berlusconi, della Penta di Canale 5! E per dare più peso alle mie parole mi misi a sbattere ritmicamente la testa contro il pavimento cercando se possibile di mirare il tappeto, un vecchio Kilim dei genitori di Teresa con al centro un grande pentagono rosso...PENTAGONO. Mi bloccai. Presi un capo del tappeto e cominciai a sfilarlo lentamente...sapevo che la caratteristica di quei tappeti è di avere un ordito che nasconde la vera trama. Questo a Teresa non l'avevo mai detto. Difatti più sfilavo il tappeto più leggevo l'ansia nei suoi occhi per il mio stato mentale, per il ritardo del dottore, per la reazione di sua madre quando avesse visto la fine ingloriosa del tappeto. Proseguii la mia ricerca della verità nascosta e tolto tutto l'ordito si vide un altro disegno: a prima vista sembrava un compasso...no, erano due oggetti incrociati, di metallo...sovrastati da quattro stelle a cinque punte. Per un attimo afferrai il bandolo dell'intera matassa, ma subito Teresa me lo tolse dalle mani cercando di salvare il salvabile.
Decisi allora di uscire per prendere una boccata d'aria. Era notte e faceva freddo. Una pioggerellina fastidiosa mi sfiorava le guance. Aloni di nebbia avvolgevano le luci gialle dei lampioni che si rispecchiavano nelle acque putride del Naviglio. Sentii un rumore di passi. Mi voltai.
Capitolo sesto
Riassunto puntate precedenti
(Un giornalista indaga sull'omicidio di un sessuologo trovato morto in casa della madre. Lo aiutano nell'indagine Teresa la fidanzata che è convinta di essere una catara vissuta nel 1200 e Marvin il personal computer che sforna in continuazione strani messaggi. L'ultimo indizio è un disegno che egli trova sul tappeto di casa: due oggetti di metallo sovrastati da quattro stelle . È notte, cammina pensieroso per le vie di Milano, ma qualcuno lo segue...)
Mi voltai. Nessuno. Continuai a camminare. Di nuovo il rumore di quei passi sempre più vicini. La mia camminata divenne più veloce finché cominciai a correre. Il rumore dei passi dietro di me aumentava. Mi rifermai. Di nuovo silenzio. Tutto questo mi ricordava uno stupido gioco che facevo da bambino: "Arimortis!" pensai. Poi risi di me stesso e delle mie stupide fobie. Dietro di me una risata satanica e una voce; "Arivivis!" e il ticchettio dei passi riprese. Infine un silenzio assordante a cui non ero più abituato. Sentivo che stava per succedere qualcosa. Rimasi fermo, impietrito per circa due ore. Mi appoggiai al muretto del naviglio e detti di stomaco per via di quella corsa o per l'odore del naviglio respirato per circa due ore. Un pipistrello in volo tracciò sulla mia testa numerose circonferenze, poi una pacca sulla spalla. Che strano, pensai, un pipistrello con quelle manone...Mi voltai. Era Braciola. Gli urlai in faccia. Lui urlò in faccia al pipistrello. Il pipistrello volò via tracciando in volo un percorso a zig-zag. Si aprirono le finestre delle case. Il pipistrello entrò in una di queste e a sua volta dette di stomaco. Altre urla. Poi il colpo di un fucile. Infine il rumore di un tonfo. Il volatile giaceva ora ai piedi di Braciola, stecchito. Braciola lo raccolse e lo mise in una sacca insieme all'altra selvaggina. Brutto segno, pensai. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, come diceva Tyrone Power in "Sangue e Arena". Difatti Braciola, che per hobby faceva il bracconiere sui navigli, era in realtà docente di Simbologia comparata, Semantica morfologica e Semiologia romanza all'Università Cattolica del Sacro Cuore. Aveva inoltre pubblicato un importante saggio sui segni dei tappeti nel corso dei secoli dal titolo: "Una macchia: una storia, un perché". Gli parlai dell'immagine vista sul mio tappeto. Braciola lo volle vedere di persona e dopo alcune ore sentenziò:" Quela macia lì l'è vecia de almen vent'an e l'è de brasat , mentre sta macia chi l'è fresca fresca e l'u fa mi...m'è cascada la tassa de café...scùsa." Ma il disegno, incalzai io..." Eh...stu disegn chi l'è l'istess che ti te pòeu vedé prima de l'autogrill in sù l'autustrada : la furchèta e 'l curtel incrucià. E le quater stelète l'è 'n bun segn. Voeuren dì che se magna bén!" mi disse con una patata in bocca e in mano un'ala del pipistrello al forno che Teresa fu costretta a cucinargli. Quando se ne andò mi accorsi che su Marvin era apparso un altro messaggio.
"Ué, pirla!
Pé arivà a quel che ti te set no
Te devet andà per la via in de la qual te set minga.
E quel che ti te sa no, l'è la soeula cosa che ti te sa.
E quel che ti t'ha, l'è quel che ti no t'ha.
E 'ndue ti te s'et, l'è là 'ndue ti no te set.
E 'l pistola te set ti."
Guardai Teresa. Aspettavo da lei un cenno che mi consentisse di scaricare una gragnuola di pugni sul monitor di Marvin, ma lei corse in bagno (la nostra libreria era là). Poco dopo ne tornò soddisfatta con un libro in mano e si mise a declamare: " And what you do not know is the only thing you know ...And where you are is where you are not. È Thomas S. Eliot, Quattro Quartetti: East Corner, II paragrafo, vv. 45-47."
In quel preciso momento dal libro cadde la foto di una donna: Giovanna, l'amica di Teresa.."E questa cosa ci fa qui?" mi chiese Teresa. Cominciai a tossire. Mi era andato di traverso il pipistrello. E dire che non lo stavo neppure mangiando...quando il buon vecchio Marvin mi venne in aiuto raccontando alla strega che avevo prestato il libro al mio amico Michele una sera che mi aveva invitato a casa sua a bere un bicchiere di whisky. Probabilmente quella foto doveva essere di Michele e quell'whisky giallo, dal colore morbido, un Glent Grant. Teresa guardò Marvin. Poi guardò me. Infine scomparve in una nuvola di fumo. Ultimamente faceva sempre così quando era confusa. Non mi preoccupai. Sapevo che aveva bisogno di starsene sola.
Teresa si ritrovò sulle sponde del lago di Pilato. Ai piedi della montagna vide un'apertura nella roccia: la riconobbe. Era la grotta della Sibilla. Entrò: vide una donna vestita di rosso accovacciata su un capitello di pietra sagomata. Teresa si avvicinò alla Sibilla e le chiese: "A cosa serve la sapienza se l'uomo non può essere consapevolmente padrone neppure del suo odio e del suo amore?"
La donna si voltò, si alzò dal capitello e cominciò a picchiare selvaggiamente Teresa dicendole che:
Primo, lei non era la Sibilla ma la moglie del fattore.
Secondo, quella non era la grotta fatata ma un luogo deputato ai bisogni scatologici
Terzo, quello non era un capitello, ma un cesso.
Capitolo settimo
Riassunto puntate precedenti
(Milano: un giornalista viene mandato a Roma per sentire l'opinione di un noto sessuologo sull'ultimo film di Woody Allen. Il giorno dopo il sessuologo viene trovato morto in casa della madre. Il giornalista inizia una sua personale indagine con l'aiuto della fidanzata Teresa e di Marvin, il computer allergico a Minghi. I nostri tre 'eroi', partendo dalla madre della vittima, si trovano ad indagare presso i massoni, il pentagono, i testimoni di Bixarc...per poi capire che la chiave del mistero è proprio la madre della vittima...)
Era a questo punto necessario recarsi a Roma, a casa della vecchiaccia. Già, ma chi di noi tre avrebbe dovuto farlo, considerando il fatto che a nessuno di noi piaceva viaggiare? Escludendo Marvin per via delle sue scarse capacità motorie, rimanevamo io e Teresa. Tirammo a sorte. La strega barò ma io non fui in grado di dimostrarlo e così il giorno dopo mi ritrovai sul treno diretto a Roma. Al tassista dissi di portarmi in via di Villa Patrizi al n°14, dove abitava la mamma del sessuologo. Mi cadde l'occhio sullo specchietto retrovisore e mi accorsi che una macchina, una volvo di colore blu ci stava seguendo. Pregai il tassista di andare più forte. La volvo si affiancò al taxi. "È fatta" pensai. Ma non successe nulla. Stavo per arrivare quando rividi la volvo fermarsi davanti al numero 14 di via di Villa Patrizi. Dalla macchina scesero il direttore dell'associazione massonica , il padre dell'elettricista, Euridice , la mia vicina di casa ( chi non ha seguito questo racconto dall'inizio non può capire, ma fa niente). Suonai il campanello. Venne ad aprirmi il maggiordomo. Mi fece accomodare in un grande salone. Erano tutti lì ad aspettarmi. Il donnone mi venne incontro e mi disse di non preoccuparmi, che quelli erano amici. "Amici di chi?" pensai, ma non dissi niente perché avevo la bocca piena di cioccolatini Condorelli. La gran donna (sto finendo gli pseudonimi) mi chiese se avevo mai partecipato ad una seduta spiritica. Le risposi di no. "Bene - mi disse lei - c'è sempre una prima volta".
Così ci sistemammo tutti e cinque al tavolo da lei predisposto. Sul tavolo era disegnato un pentagono. Ognuno di noi aveva davanti a sé una forchetta e un coltello. Per rilassare l'atmosfera dissi "Buon appetito!" Non rise nessuno. Improvvisamente si sentì un urlo provenire dall'altra stanza. Quando ci precipitammo di là trovammo la cameriera riversa sul pavimento con un pugnale conficcato nella schiena. La padrona di casa mi disse allora di essere al corrente del fatto che Lui si era messo in contatto con me tramite il mio computer. "Chi è lui?" chiesi. La stangona mi rispose che Lui era Federico La Sorsa, uno degli ultimi templari. Allora capii che era giunto il momento di mettere tutte le carte sul tavolo. "Cari signori - cominciai - fino a pochi minuti fa, ancora prima di entrare qui dentro ero molto confuso. Ma ora so. Sono io Federico La Sorsa e sono l'ultimo templare. Sono quattrocento anni che gli uomini mi rompono le scatole con le loro strafottute sedute spiritiche. Ma cosa credete che sia, un fenomeno da baraccone? Mi hanno bruciato sul rogo, poi mi hanno fucilato, poi mi hanno incarcerato. Ho provato ad essere un uomo qualunque. Ma voi mi venite a stuzzicare..."
"Allora è stato lei ad uccidere mio figlio?" disse la vecchia matrona.
"Eh no, cara la mia pupattola! È stata lei ad ucciderlo quando ha scoperto che se la faceva con la cameriera. Temeva che da quel momento suo figlio, non avendo più il bisogno di riversare sugli altri le proprie fobie, sarebbe diventato un fallito nel campo della sessuologia. Poi, non contenta, ha ucciso anche la cameriera." decretai soddisfatto.
"Ma come avrei potuto farlo visto che ero seduta al tavolo con voi?"
"Non era lei ad essere seduta al tavolo con noi, ma il suo maggiordomo. La stazza è la stessa i baffi pure. È bastato un suo vestito e un pò di trucco. È stata brava. Ha messo in piedi tutta questa pagliacciata servendosi del direttore di una associazione massonica, di Euridice la mia vicina per controllarmi e riferirle sui miei spostamenti, del padre dell'elettricista per aggiungere un pizzico di magia.." Non feci in tempo a finire la frase che la donna si diresse vero il portone e corse in strada nel disperato tentativo di raggiungere la libertà. Ma venne fermata da un autobus dell'Atac che sbucò da una via secondaria. Lo stridìo dei freni, il suo urlo soffocato e il suono di ossa spiacciccate furono un tutt'uno. E mi tornarono in mente le parole del saggio Tchuan Tzu che diceva: Puoi anche vivere tutta la vita dalla parte del male...ma almeno guarda prima di attraversare la strada.
Tornato a casa raccontai a Marvin e a Teresa come si erano svolti i fatti. "Non sapevo che il tuo nome è un altro e che sei un templare" mi disse Teresa." Infatti non è vero, ma dovevo pur bleffare per fare colpo." Marvin si intromise nella discussione "Ma allora la pietra filosofale, il fatto di guardare verso l'uomo che parla e di ascoltare l'uomo che tace, la Saratoga, tutti quei messaggi sull'Apocalisse erano solo fandonie?"
Presi Teresa tra le mie braccia e insieme a Marvin ci allontanammo da Milano. La città era immersa in una fuligine di scandali e corruzioni. L'ultimo messaggio ci aveva raccomandato di lasciare la città senza voltarci. Ma Marvin era curioso di sapere che cosa ne sarebbe stato di Milano. Così si voltò . Venne trasformato in un cubo di sale e silicio.
(FINE)