Che storia

Che storia

Sono sul treno ad alta velocità che mi porterà in tre ore e trenta a Roma. Non ho neanche il biglietto. Ho un codice, che mi hanno mandato via sms. Non devo obliterare, non devo vidimare, devo solo salire, sedermi nella carrozza 1, posto 62 e, quando sarà il momento, pronunciare una serie di numeri. Il controllore mi sorriderà, digiterà qualcosa su una specie di palmare, mi darà una micro ricevuta e se ne andrà. Figata.
Il posto davanti a me è vuoto. Ottimo.
Allungo le gambe, spengo il telefonino e mi metto a leggere il libro (“Il club dei padri estinti”). E’ da un paio di settimane che sono a pagina centosedici (su trecentotrenta). Ogni volta che lo riprendo, rileggo le prime venti righe del capitolo, poi qualcosa mi distrae, interrompo la lettura e mi ritrovo la volta dopo con il segnalibro allo stesso punto.
Nel bel mezzo di queste mie considerazioni (che mi fanno allontanare dalla ripresa della lettura…) una voce femminile con spiccato accento lombardo mi chiede spazio sul tavolino. Ha la prenotazione del posto numero 63. Di fronte al mio.
Ritraggo prontamente le gambe, tolgo l’agenda ( Smemo, tanto per capirci), l’ipod, il libro.
Lei appoggia un borsone firmato, ne estrae una cartelletta e lo solleva per riporlo nella cappelliera. Non faccio un plissé. Poco galante? Forse. Ma perché rinunciare a vedere ciò che quell’azione svela tra il jeans a vita bassa e il maglioncino a vu indossato senza canotta? Lo so, è solo un ombelico, ma insomma…
Ora finalmente la guardo in faccia. Bruna, piuttosto truccata, di quelle che se le vedi la mattina appena sveglie non le riconosci, molti anelli e alcuni braccialetti. D’oro, preferibilmente.
Jeans, già detto, finto usato e scarpetta rossa… fa vedere? No, non è possibile! Eppure è proprio così. Senza calze.
Cacchio, a Gennaio, a Milano, come fai? Boh, contenta te!
E poi le labbra, quelle superiori soprattutto, sicuramente gonfiate! Non sono un esperto ma fin lì ci arrivo anch’io. E’ botulino.
A questo punto scruto meglio: ciglia posticce, zigomi innaturalmente pronunciati. Seno… troppo fermo, rotondo, omogeneo… è finto, sicuro.
Chissà che lavoro fa? Magari è mantenuta. Dal marito, voglio dire.
Arriva il controllore, io sfodero il mio cpn (codice di prenotazione), lei il suo.
A me il controllore consegna la ricevuta che attesta l’avvenuto pagamento on line a lei chiede invece “il tesserino”. Visto, prosegue.
Il mistero si infittisce. Che tesserino è? Perché non ha pagato, l’oscura bruna? (vedi, fosse stata un’oscura bionda avremmo potuto parlare di ossimoro)
Finalmente apre la cartelletta e con una penna corregge, cancella, appunta.
Sarà una business woman tipo Marcegaglia… è la Marcegaglia?
No, non porta gli occhiali.
Sbircio tra i suoi fogli e intravedo: “Camera dei deputati”… è un’onorevole!
Una mia dipendente, come direbbe Grillo.
A questo punto abbandono decisamente il libro per concentrarmi in una lettura all’incontrario che neanche Leonardo.
Riesco a decifrare “Disegno di legge” “famiglia” . Poi va a fare la pipì. La bruna, non la famiglia.
E’ stato più forte di me.
E’ bastato prendere la sua penna e cancellare un “non”, spostare qualche virgola, depennare qualche parola.

Se fra qualche mese verrete a conoscenza di una legge che non solo permette le unioni fra gay ma incentiva pure le adozioni di animali e gli scambi di coppie, saprete di chi è la colpa.