Bisio sarà un po' deluso ma con i suoi bambini di sinistra ci tiene proprio in pugno

Testata
l'Unità
Data
31 ottobre 2003
Firma
Maria Grazia Gregori
Immagini
Immagine dell'articolo sull'Unità

Ma chi sono questi bambini di sinistra che potrebbero togliere il sonno perfino al presidente Berlusconi? Sono i bambini che, anche geograficamente, scelgono la sinistra, sedendosi, ovviamente a sinistra, sui banchi di scuola, che «se gli spieghi cos'è la destra piangono e se gli spieghi cos'è la sinistra piangono lo stesso ma un po' meno... che fanno girotondi da tempi non sospetti». Con una grande spinta epica ed etica, con spunti che ricordano Qualcuno era comunista, straordinaria riflessione in musica di Giorgio Gaber, è di scena al Teatro Strehler di Milano, stipato come un uovo, di fronte a un pubblico assolutamente trasversale per età e magari per pensiero, I bambini sono di sinistra con Claudio Bisio mattatore accompagnato dal quartetto Zelig composto solo da giovani ragazze. Un funambolo che si arrampica, si accoccola dentro i testi ironici, sentimentalmente generazionali, quasi dei «minima moralia», nati dalle sardoniche penne di Michele Serra e di Giorgio Terruzzi. Del resto, a darci fin da subito il polso di una serata effervescente e divertente ma colma di profondità, qua e là venata di malinconia, messa in scena con encomiabile misura da Giorgio Gallione per il Teatro dell'Archivolto di Genova, è la voce di Fabrizio De André che canta Storia di un impiegato.

Eccolo qui, in maglia rossa e abito nero (ma l'unico rossonero citato, da un vecchio e tribolato cuore nerazzurro, via, non può essere che Gianni Rivera, il progressista), Claudio Bisio a presentarci il diario, la storia, le memorie del sottosuolo, la delusione di un uomo dei nostri giorni, un reduce che dopo avere assaporato di riflesso la sbornia di libertà di quel magico '68, si trova a combattere con una realtà frammentaria e incoerente, spesso assurda e paradossale. La confessione di un uomo tragicamente ridicolo, sempre in ritardo a capire le cose del mondo: il disagio del figlio e della figlia adolescenti, la moglie che rifugge dalle regole, la giovinezza che se ne va, l'incubo della prostata, discrimine epocale fra il prima e il dopo, la televisione con il suo teatrino politico e il suo bla bla, la medicina alternativa, l'improvviso affacciarsi della morte che colpisce chi ci è caro, la fine degli amori creduti eterni.

Spigolando qua e là fra i giornali, il monologo di Bisio (rotto dalle canzoni, cantate dall’attore, di De André) si scontra, ahinoi, con una politica che non dà una bella immagine di sé perfino a uno come lui, costretto d'improvviso a confrontarsi con una generazione di ragazzi che «dista da piazza Fontana più di quanto io, alla loro età, non fossi distante dalla Seconda guerra mondiale».

Bisio è bravissimo e molto maturato, sa tenere in pugno il pubblico e il gran successo televisivo non ha minimamente intaccato le sue radici profonde, che sono teatrali. Merito anche dei suoi autori che gli hanno dato le parole per dire tutta la delusione, i vizietti, i ridicoli rituali, la paura d'invecchiare di un uomo del nostro tempo. Quanto ai bambini di sinistra del titolo, beh, sono la sua e anche la nostra speranza.