I BAMBINI SONO DI SINISTRA. DI SINISTRA, SÍ. NESSUN DUBBIO.
NON SOLTANTO PER VIA DEI PUGNETTI STRETTI IN SEGNO DI PRECOCE
PROTESTA
SONO DI SINISTRA PERCHÉ SI FANNO FREGARE QUASI SEMPRE
TI GUARDANO, CACCI LE BALLE VERGOGNOSE E LORO SE LE BEVONO, TUTTI
CONTENTI.
SORRIDONO, SI FIDANO. BICAMERALE! SÍ, DAI!
I BAMBINI SONO DI SINISTRA PERCHÉ SE GLI SPIEGHI COS'È LA DESTRA
PIANGONO
I BAMBINI SONO DI SINISTRA PERCHÉ SE GLI SPIEGHI COS'È LA SINISTRA
PIANGONO LO STESSO, MA UN PO' MENO
I BAMBINI SONO Dl SINISTRA PERCHÉ COMUNQUE, QUALSIASI COSA TU GLI DICA
CHE ASSOMIGLIA VAGAMENTE A UN ORDINE, FANNO RESISTENZA. ORA E
SEMPRE
I BAMBINI SONO DI SINISTRA PERCHÉ VANNO ALL'ASILO CON BAMBINI
AFRICANI, CINESI O BOLIVIANI E QUANDO PAPÀ GLI DICE: «VEDI QUELLO È UN
BAMBINO AFRICANO» LO GUARDANO COME SI GUARDA UNA NOTIZIA SENZA
SIGNIFICATO
I BAMBINI SONO DI SINISTRA PERCHÉ QUANDO SI COMMUOVONO, PIANGONO,
MENTRE NOI ADULTI TENIAMO DURO, NON SI SA BENE PERCHÉ
È stata una tale valanga, che non si capisce cosa dire ancora: sabato prossimo Zelig in tour chiude la sua roboante estate all'Arena di Verona e, come si trattasse di una rock-star, sono attese qualcosa come 30mila persone, mentre sono 200mila quelle che hanno seguito il suo percorso trionfale (15 mila solo alla Curva Sud dell'Olimpico di Roma e 12mila allo stadio di Ancona). Claudio Bisio sarà lì, accanto a Sconsy, Ale & Franz, James Tont, Raul Cremona, Cevoli, Cirilli, e Laura Freddi; ha anche già detto sì per il ritorno in tv a fine gennaio, le 12 puntate di Zelig Circus, prontamente accaparrate da Canale 5 dopo gli ascolti milionari dell'anno passato, ma in questo momento ha la testa altrove.
Il 4 ottobre torna in teatro con uno spettacolo tutto suo (il quarto dopo Aspettando Godo, Le nuove mirabolanti avventure dl Walter Ego e Tersa repubblica). Finalmente, ammette lui. «La tv mi dà tante soddisfazioni, ma resta il regno del vacuo. Per quanto mi riguarda è a teatro che sto bene». Lo spettacolo si intitola I bambini sono di sinistra, regia di Giorgio Gallione e di cabaret nemmeno l'ombra, anche se, ironia della sorte, il quartetto che lo accompagna si chiama Zelig («giuro, è un puro caso: qui si tratta di musiciste e serissime»). Girerà solo per i teatri veri, dal Comunale di Civitavecchia il 4 ottobre, poi, tra le altre tappe, il Colosseo di Torino dal 14 ottobre, il Piccolo di Milano dal 21 ottobre, l'Arena del Sole a Bologna dal 26 novembre... È tratto da un disco di Fabrizio De André stranamente tra i meno riascoltati, "Storia di un impiegato" del '73, molto bello, molto duro, sul '68 e su un uomo balbettante tra le nebbie della sua coscienza. Bisio ne ha fatto un monologo con pezzi suoi e di chi gli piace, cioè Michele Serra e Giorgio Terruzzi, un monologo sincero, ironico, dichiaratamente di sinistra, con dentro molto dell'ex-ragazzo che, trascorsi gioventù, sogni, ribellioni, si ritrova a guardare la sua ruggine. È vivo ma pieno di menate.
Non sarà mica lei, Bisio?
«Be' sono in un'età, in cui il tempo che passa si fa sentire
di più. Anche fisicamente. A 46 anni non che non mi mantenga bene, ma
siamo sempre lì, la prostata, la menopausa diceva Gaber in
"Chiedo scusa se parlo di Maria". Senti la vita che sfugge,
senti che non c'è più bisogno di te. È quello che Michele Serra mi
ha confessato quando ha visto sua figlia dodicenne baciare un
ragazzino su una panchina. Un colpo al cuore».
Il padre geloso...
«Ma no! È che quelle cose lì le facevamo noi. Una volta. E una volta
non dicevamo una volta. Siamo partiti da lì, da quella panchina dove
un tempo eravamo noi, lasciando che a parlare fosse uno come noi che
ha giocato a calcio senza essere un campione, ha letto Proust senza
finirlo, ha sognato senza che nulla si sia realizzato. Uno che naviga
nel Web senza capirci molto. Uno che continua a fare programmi ma
sempre disattesi. Uno che legge i giornali, riflette sui mondo,
impreca, dice cose tremende ma finisce per scoprire che forse qualcosa
di quello che è continua nel figlio. Panta rei. Tutto scorre».
Nostalgia?
«Mi sono sposato quest'estate con la madre dei miei due figli.
Sono felice del mio lavoro. Miro a essere uno splendido cinquantenne,
parafrasando Moretti, ma un po' me la meno».
E De André che c'entra?
«Quando partecipai alla "Buona Novella", lo spettacolo su De
André riascoltai "Storia di un impiegato" nato 30 anni fa
coi Duran Duzan. Sono ballate bellissime, io ne canto cinque in scena
tra cui il "Bombarolo", un'esplosione in tutti i sensi,
un grido di rivolta, dove lui, l'impiegato di De André diventa un
bombarolo. È un pugno nello stomaco, specie in questi tempi bellicosi,
ma non ci siamo censurati».
Nemmeno con la satira politica?
«Sui palco leggo i giomali e intendo mantenere una parentesi coi fatti
del giorno. Per il mio personaggio il mondo di oggi non va bene.
Berlusconi, il condono edilizio, l'attacco alla magistratura... Ne
parlo, certo, magari, prendendolo di rimbalzo, come per il club Forza
Italia di Cinisello intitolato a Gramsci: di chiamarlo "Cesare
Cadeo" non se la sono sentita e allora siccome la sede stava in
piazza Gramsci... Il monologo che ho scritto io e che dà titolo allo
spettacolo "I Bambini sono di sinistra", omaggio/parodia al
Gaber di "Qualcuno era comunista", canta che i bambini sono
di sinistra perché non invocano il legittimo sospetto se uno li
sgrida».
E se qualcuno viene a vederla credendo di trovarci la
Hunziker?
«Pazienza. Magari ascoltare cose che non sono battute, gli piace. Io
amerei che ci fosse gente giovane in platea. Non è un monologo per
quarantenni andati, il mio. Si parla della nostra storia. Lo sa che i
giovani di oggi distano dalle bombe di piazza Fontana più di quanto
distavo io dalla Seconda Guerra Mondiale? Parlare a loro del '68 è
come quando noi ascoltavamo i racconti della Resistenza. A me piaceva.
Spero che tra i ventenni ci sia chi ha curiosità di sapere cosa è
successo da un vecchio ragazzo che c'era. E vaff... al vecchio».
Era il De André che rifletteva sul Sessantotto e il Maggio francese quello racchiuso in "Storia di un impiegato" l'album del '73 a cui Claudio Bisio si è ispirato per il suo nuovo spettacolo. Nell'album (pensato dopo "Non al denaro, non all'amore né al cielo', prima di "Canzoni") in cui il classico De André si mescola al suono rock dell'epoca, incubi si intrecciano a sogni, rivolte a disgrazie. Nove ballate durissime, sofferte, alcune contorte e forse è per questo che “Storia di un impiegato” non ha avuto la popolarità di altri dischi di De André. L'introduzione fa così: «Lottavano così come si gioca/ i cuccioli del maggio era norrnale/ loro avevano il tempo anche per la galera/ ad aspettarli fuon rimaneva/ la stessa rabbia la stessa primavera» A gelare il sangue ci pensa “Il Bombarolo”: «Per strada tante facce/ non hanno un bel colore/ qui chi non terrorizza/ si ammala di terrore».