Parole, musiche, emozioni, ricordi, rabbie e nostalgie, siluri e ghigni amari sono di Michele Serra, Giorgio Terruzzi, Gigio Alberti e Fabrizio De André, da cui arrivano - dritte al cuore - un paio di canzoni di quelle che ti inchiodano ai tuoi stessi dubbi e al tuo stesso disincanto.
Faccia, verve, modi e carattere, talento e simpatia, invece, sono di Claudio Bisio, maglia rossa girocollo, giacca blu, occhialini. È lui che sta sul palcoscenico e affabula, confabula, in compagnia di qualche sedia, qualche tavolo, una fascina di giornali e un quartetto femminile: Ilaria Bellia al violino, Ilaria Bruzzone alla viola, Mariana Carli al violoncello, Francesca Rapetti al flauto. Per bislacca combinazione il Quartetto si chiama Zelig in omaggio a Woody Allen: non c'entra nulla con la trasmissione televisiva che ruota attorno a Claudio Bisio. Anche questo spettacolo c'entra poco, anzi niente, con quella comicità lì e quel Bisio là. Questo spettacolo c'entra con il teatro. Con il buon teatro, che non ha bisogno di un oceano di risate, induce piuttosto sorrisi, strappa sghignazzi, porta a riflettere, rispolvera memorie, ti mette davanti a quello che pensavi e pensi ancora, ti raduna le idee. E tutto questo accade con piacevolezza, in modo naturale.
È come se tra scena e platea si sfogliasse un diario intimo che incrocia pezzi della Storia d'Italia, fatti e trovate di questi anni. Dalla strage di piazza Fontana a quella di Capaci, dai quiz televisivi ai forzaitalioti di Cinisello Balsamo che intitolano il loro club ad Antonio Gramsci, dalla clonazione della pecora all'ottundimento dei cervelli. A questo serve il teatro: corrobora, disappanna il cervello. E lo fa con leggerezza. Due pezzi magnifici, uno sui bambini - è lampante, sono di sinistra – e uno sulla morte, sono dei massaggi al cuore. Dopo che Bisio li ha squadernati, ve lo portereste a casa.