C’è un filo di malinconia, un senso di vero disagio e di disincanto che corre tra le parole e le musiche nello spettacolo di Claudio Bisio «I bambini sono di sinistra», testi da Michele Serra e Giorgio Terruzzi, canzoni di fabrizio De André, regia elegante di Giorgio Gallione.
Si ride, e molto, perché Bisio conosce bene il segreto che porta al riso, il suo modo di porgere la battuta è tra il sornione, lo stupito e l’ironico, ma questo suo parlare di un se stesso che è uno di noi, uno che ha fatto, o meglio avrebbe voluto fare il ’68, ma l’ha vissuto solo di striscio, che ha mancato l’appuntamento col G8 a Genova, che ha due figli che lo riempiono di imbarazzanti interrogativi, che è un consumista più o meno consapevole, è il ritratto di una generazione che cerca una sua collocazione, una sua verità. In questo monologo c’è il sapore dell’intelligenza, c’è il gusto amaro dell’autoironia, c’è il disagio per questa società malata di «troppo», di «pieno», di «complicato», popolata da ricchi bulimici terrorizzati dai ladri, dai poveri, dai virus, dai raptus.
Una società dove è impossibile volgersi risolutamente verso la natura, come auspicava un personaggio beckettiano, perché anche lì c’è il business, «bio-bio è meglio del bio», dove si rischia di affogare nei dubbi e ti viene il dubbio che non sia meglio avere piccole certezze, dove, però, ci sono i bambini che se non li roviniamo subito, loro sì che sono di sinistra, giocano, litigano, piangono ma sempre insieme. Bisio è trascinante, recita e canta, le giovani musiciste del Quartetto Zelig sono brave, le battute si intrecciano con ritmo perfetto: il divertimento è assicurato e la riflessione pure.