L’anima e la carne, l'inferno e il paradiso, l’umano e il divino, il peccato e la redenzione, la passione e il dubbio. Arriva a Milano «La buona novella» di Fabrizio De André nell'allestimento scenico presentato nel novembre scorso dal Teatro dell'Archivolto di Genova. Un progetto ambizioso e affascinante perché traduce in tridimensionalità teatrale una delle opere più intense e nascoste di De André. Era il 1970 quando arrivò nei negozi «La buona novella». De André aveva già pubblicato tre dischi pieni di capolavori come «Via del campo», «Bocca di rosa», «Carlo Martello» e quella «Si chiamava Gesù» che prendeva spunto dalla lettura dei vangeli apocrifi, ovvero l'insieme delle storie e leggende legate alla figura di Gesù ma non riconosciute come ufficiali dalla Chiesa: racconti datati tra il I e il IV secolo che mettevano in risalto la natura umana del Cristo, e quindi ancora più interessanti per un intellettuale, come De André, che si era sempre dichiarato ateo e anarchico.
Un particolare importante della nascita della «Buona novella» lo rivela il giornalista Cesare G. Romana, grande amico del cantautore, nel libro «Amico fragile» (Sperling & Kupfer): «Fabrizio De André lesse i vangeli apocrifi con lo stesso spirito che gli faceva preferire Cecco Angiolieri all'Alighieri. Quando si accinse a ricavarne un disco, a un cronista incontrato in una pizzeria di corso Buenos Aires disse che a lui non interessavano i santini ma gli uomini, e che se aveva scelto gli apocrifi rispetto ai vangeli ufficiali, era perché non gliene fregava "un bel cacchio di mettere in musica la propaganda ufficiale dell'ufficio stampa di Gesù Cristo". E si mise a raccontare di quando Gesù bambino, irritato perché un compagno di giochi gli rompeva le scatole, gli fece un incantesimo e lo fulminò, lasciandolo stecchito».
«La buona novella» nasce in un periodo di grande slancio verso un'interpretazione rock del Cristo e del cristianesimo. Quasi contemporaneamente nel mondo anglosassone venivano composte le opere rock «Jesus Christ Superstar» e «Gospel», e più tardi ('72) il gruppo «prog» Latte e Miele avrebbe messo su disco un'interessante «Passio secundum Mattheum».
Realizzato nell'arco di un anno con il contributo in studio dei musicisti della Pfm (quando però ancora si facevano chiamare I Quelli), «La buona novella» suscitò un enorme interesse presso il pubblico giovanile post '68, trovando anche accoglienza e apprezzamento negli ambienti religiosi attenti a una Chiesa più povera e vicina ai problemi concreti della gente. Naturalmente De André si avvicinò ai vangeli apocrifi da artista, utilizzandone storie e suggestioni per ricomporre una propria visione del mondo e adottando una narrazione corale che oggi è alla base della messa in scena del Teatro dell'Archivolto. Le canzoni infatti danno luce ai personaggi che ruotano intorno al Cristo: prima di tutti Maria (alla quale sono dedicate le canzoni più belle e intense) e poi Giuseppe, il ladrone Tito; diventa protagonista perfino la folla che assiste al processo e al sacrificio di Cristo («Via della croce»).
Questa coralità del disco è stata rispettata nell'azione scenica del regista Giorgio Gallione e nell'interpretazione di Lina Sastri (Maria adulta), Leda Battisti (Maria giovane), Claudio Bisio (il narratore), Andrea Ceccon (il ladrone Tito), accompagnati dal coro delle Voci atroci e dal gruppo musicale dei Sentieri selvaggi. L'elaborazione e la direzione musicale sono di Carlo Boccadoro.
Tra le tante gemme di questa opera (come l’umanissimo «Testamento di Tito») nell'album originale di vinile ammaccato dagli anni c'è una noticilla: «I nomi del ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco, Tito, Disma, Gesta). Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell'infanzia». Una scelta che di questi tempi assume un valore speciale, un valore di novella buona.