C'è uno stretto legame fra il genere del monologo comico teatrale e il delirio. Non solo perché il teatro è spesso sintomo e cura allo stesso tempo di un disagio psichico, come ci hanno raccontato tanti studi antropologici e anche molte testimonianze di professionisti di fama, da ultimo Gassman. E'proprio il monologo come genere, quel suo girovagare, tornare su se stesso, dividersi apparentemente fra interlocutori immaginari, citarsi, contraddirsi, ripetersi, esitare, ripartire, che assomiglia a un discorso delirante.
Naturalmente ci sono diversi deliri anche sotto questo profilo: c'è la schizofrenia galoppante dei travestimenti di Sabina Guzzanti, il delirio di grandezza di Paolo Rossi, la macedonia verbale di Alessandro Bergonzoni, la malinconia di Lella Costa, e via dicendo. Il delirio di Claudio Bisio, comico dotatissimo e fortemente votato al monologo, è a prima vista meno facilmente definibile in termini clinici. I sintomi sono un certo vitalismo, che trasforma ogni spettacolo in una sfida; una qualche coazione mimetica, che gli fa assumere momento per momento ogni brano come una citazione; una certa insofferenza per la realtà, da cui tende a evadere il più lontano possibile. Ma soprattutto uno spirito burlone, che del teatro vede il gioco, senza preoccuparsi troppo del buon gusto, della correttezza politica o tecnica, delle etichette e dei rispetti per persone, istituzioni o costumi, di qualunque parte e provenienza, inclusa la propria. Ne consegue una lontananza assolata dalla satira, ma anche dai fogli di diario generazionale o antropologico, insomma dalla comicità di parte, che discorre iniziando da un «noi». Il delirio di Bisio conosce solo la prima persona singolare, plurali sono solo gli altri. Vogliamo chiamare questa follia sindrome di irriverenza goliardico- acrobatica? Comicità come pensiero debole, con qualche traccia di ritorno del rimosso e di fissazione sulla fase anale? Le etichette si potrebbero naturalmente moltiplicare. Quel che conta è che Bisio di solito risulta molto divertente e lo è anche nel suo ultimo spettacolo, programmaticamente intitolato Tersa Repubblica. Impossibile riassumerlo. Si parla abbondantemente di sesso, per spiegare soprattutto come non si è riusciti a consumarlo (la sfiga è sempre una grande risorsa per i comici). Ma abbondanti citazioni sono riservate anche alla terminologia borsistica, alla teoria della comunicazione non verbale di Paul Watzklavick, all'ergonomia e all'arredamento moderno. Il punto focale dello spettacolo è la presentazione di un nuovo movimento politico, apertamente ispirato alla cronaca. Ma non si tratta tanto di fare satira su Berlusconi, quanto di esibirsi in acrobatici esercizi di narcisismo ironico, particolarmente evidente in un suo bizzarro programma politico che per esempio comprende la pensione ai giovani, gli ospizi trasformati in discoteca, il servizio militare obbligatorio trascorso a vivere a casa di una ragazza di un'altra città. Il risultato è un immagine allucinata della realtà, non si sa se un sogno o un incubo, certo un delirio.