Al talk show della Liberté

Godibile dibattito sulla Rivoluzione e il pubblico decide chi ghigliottinare
In scena a Roma lo spettacolo di Salvatores «Café Procope»

Testata
La Stampa
Data
21 aprile 1994
Firma
Masolino d’Amico
Immagini
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Il Café Procope, tuttora esistente a Parigi, fu al tempo della Rivoluzione un centro di incontri e discussioni fra letterati e politici il cui equivalente odierno, come ironicamente mostra l'omonimo spettacolo diretto da Gabriele Salvatores da un testo scritto dal medesimo con i suoi quattro interpreti, è il salotto televisivo. In entrambi i luoghi le personalità dei singoli emergono infatti con chiarezza, magari stimolate da un conduttore abile a contrapporre i punti di vista e se è il caso, a scatenare la rissa; in entrambi i luoghi, un pubblico assiste avidamente agli strip-tease del carattere palleggiando per l’uno o per l'altro, e alla fine decide chi va punito, con la perdita della testa, una volta (ecco l'unica differenza), con quella della notorietà sul piccolo schermo, oggi.

Cinque anni fa, nell’anniversario della presa della Bastiglia, questo «Café Procope» fu proposto a Milano dall’Elfo, in una serata complessivamente intitolata «Ça ira»; oggi qualcuno ha avuto l’idea di riprenderlo, e nella sede ideale, vale a dire sul palcoscenico che già da dieci anni ospita ogni sera il padre e la madre di tutti i salotti televisivi italiani: il Teatro Parioli, sede stabile del Maurizio Costanzo Show. Ottima idea, primo perché il luogo facilita quel contatto col pubblico che l'intrattenimento richiede; secondo, perché tanto il copione quanto il lavoro degli attori sono piacevolissimi, e averli persi per sempre sarebbe stato un peccato.

Sul palcoscenico del Parioli, dunque, che per l'occasione si trasforma nel famoso caffè (ma la scena, di Sonia Peng come i costumi, è sommaria, e comporta un maxischermo televisivo dove si vedono particolari di quanto si sta svolgendo), il taverniere-anfitrione Procope (Claudio Bisio) presenta l'uno dopo l’altro alla gente in sala tre esponenti di altrettante classi sociali che hanno accettato di stare al gioco, ossia un intellettuale caustico e contestatore (Antonio Catania), un aristocratico sprezzante e dedito ai piaceri (Alberto Storti), e un contadino ispido e diffidente (Gigio Alberti). Ciascuno prende posto su di una poltrona e stimolato dal presentatore si autodescrive, e all'occorrenza polemizza con gli altri. Da un lato incombe una ghigliottina, e al pubblico, o meglio a coloro del pubblico ai quali sono state distribuite delle palette, viene chiesto, prima a titolo di sondaggio, quindi definitivamente, di votare non a favore, ma contro ciascuno dei tre; e colui che è piaciuto meno viene ghigliottinato. Tale giudizio può variare ogni sera; alla prima, che però conteneva un pubblico anomalo, di invitati, e pertanto timido, è stato condannato l’intellettuale (io avrei votato diversamente).

Qual è lo scopo di tutto ciò? Fra l'altro, quello di mostrare come chi si candida tenta di accaparrarsi il consenso; e di mostrare come chi vota si lascia conquistare da sollecitazioni epidermiche, tipo la simpatia personale di qualcuno. Nulla di più attuale, ma non pensate a un'esperienza pesantemente didascalica, ché sin dalla comparsa del presentatore Bisio dal finto candore si stabilisce un clima di allegra ribalderia: piuttosto che a Brecht, per fortuna, la serata sembra ispirarsi al Savary di una volta. E poi al di sotto delle battute, che sono spiritose e mai volgari, i tre personaggi hanno una loro complessità: l’intellettuale progressista è in crisi di sintonia col contesto; il contadino conculcato e vittimista reazionario e spietato; il più corrotto, ossia il conte, è anche il più ammirevolmente convinto dei propri principi edonistici e assolutamente antimorali. Paradossalmente dunque è proprio quest’ultimo a ottenere i consensi maggiori, grazie all’eccellente prova di un Alberto Storti ultradecadente, con cipria e rossetto; ma con questo non voglio dire che gli altri due, Gigio Alberti come il contadino e Antonio Catania come l’impopolare intellettuale, siano da meno. Insomma, avete capito: successo. Repliche fino all’8 maggio.

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