Nel curriculum vitae di Claudio Bisio (oltre ad una curiosa serie di avventure marine e cittadine delle quali lo spettatore troverà traccia iconografica nel finale di questo spettacolo) ci sono alcune prove con il Teatro dell'Elfo di Milano; in special modo una bella parte nei Comedians di Griffith della passata stagione. La provenienza, dunque, è facilmente riconoscibile. A chi volesse sapere di più sullo stile di questo bravo attore, potremmo dire che manca di aplomb (quella capacità da interpreti all'antica di non sgualcire i pantaloni dietro il ginocchio pure dopo essere rimasti seduti per delle ore, o di evitare pieghe sulle maniche della giacca dopo aver gesticolato per settimane). Il quale fatto non è esattamente un merito, bensì un documento di origine (o di progetti, a seconda del punto di osservazione). Certo teatro contemporaneo, appunto, manca di aplomb: è scientificamente sbrindellato, a volte caotico, nemico giurato delle parole belle fini a se stesse, delle camicie sgualcite e dei nodi larghi alle cravatte. Tutto questo perché cerca di testimoniare il nostro tempo, che più confuso di così non potrebbe essere.
Claudio Bisio, insomma, sa parlare ai suoi coevi, quindi a buona parte dei suoi contemporanei. E per il momento lo fa con questo spettacolo che è tutto tranne che un lavoro basato su un solo filo conduttore o che una rappresentazione dalla drammaturgia piana. I casi narrati sono paralleli, d'accordo, ma non univoci. C'è prima un giovanotto che vede crescere una macchia nera nei suoi occhi. Poi c'è un operaio degli abissi che perde contatto con le terre emerse e continua disperatamente a cercare un rapporto con il mondo (pure se questo si manifesta solo sotto le sembianze di un enorme calamaro che non apprezza il tip-tap). Poi c'è il parlamentare che dopo aver parlato per giorni ad una platea vuota, si accanisce contro la proposta di promulgare una legge contro i languori di stomaco. E infine c'è un uomo che vede ciò che non c'è malgrado sia convinto che nel mondo non ci sia alcunché da vedere.
Siamo in un terreno modestamente assurdo, perciò minato. Ma la bravura dell'attore Claudio Bisio sta proprio nel rendere semplice e quotidiano ciò che potrebbe apparentemente sembrare tutt'altro. Ecco la contemporaneità, che se conserva un rapporto di maniera con il teatro di Ionesco e Pinter, acuisce e materializza attraverso gesti e impasti di parole quella nevrosi che ormai accompagna stabilmente le giornate di tutti noi, milanesi, romani o di chissà dove. E in questo Bisio è bravo anche nel contagio, nel coinvolgere lo spettatore nella sua ansia.
Due parole sui testi. Come si è detto lo spettacolo è costruito come un collage. Eppure risalta un pezzo sugli altri (si chiama L'uomo rosso ed è quello del delirio sottomarino), perché qui alla stringatezza della lingua utilizzata corrisponde una precisione di sviluppo scenico. Senza contare che spesso un procedimento del genere contribuisce a rendere con chiarezza il bersaglio da colpire: un senso di angoscia diffusa che lentamente dal comico passa al tragico. Insomma, per chi non giudicasse sufficiente tutto ciò, si può aggiungere che non di rado Claudio Bisio sa anche essere comico, anche se quella che provoca è una risata amara, cattiva.