Bravo Salvatores: ha scoperto sei svelti «Comedians»

All’Elfo il divertente testo di Griffiths, adattato da E.Capriolo, con un ottimo Paolo Rossi

Testata
Il Giorno
Data
15 gennaio 1986
Firma
Ugo Ronfani
Immagini
Immagine dell'articolo sul Giorno

«Luci della ribalta» a Quarto Oggiaro, ovvero corso serale di ars comica per dilettanti. Così si presenta la versione casalinga di Comedians, commedia dell'inglese oggi cinquantenne Trevor Griffiths, proposta all'Elfo da Gabriele Salvatores nell'adattamento di Ettore Capriolo e dello stesso regista. La interpretano sei giovani attori nei ruoli di altrettanti allievi di una «scuola degli asini» per aspiranti comici: Paolo Rossi (Rizzo, un ferroviere) Renato Sarti (Filippo Murri, travet), Alberto Storti (Gedeone Murri, suo fratello, lattaio), Claudio Bisio (Felice Di Leo, manovale ai mercati generali), Antonio Catania (Sam Ancona, geistore di un night, Silvio Orlando (Michele Cozzolino, napoletano immigrato al Nord, muratore), affiancati dal «veterano» Roberto Vezzoli (l’insegnante, un ex comico in disarmo), da Giorgio Giorgi (l'esaminatore, showman della tv), Gianni Palladino (bidello e buttafuori) e Gigio Alberti (un pakistano triste come la fame, smarritosi su quella galera).

Il testo di Griffiths - epigono degli «arrabbiati» della scena inglese, nella linea social-grottesca di Wesker – fu un successo in riva al Tamigi una decina di anni or sono. Capriolo, col suo fiuto fino, è andato a scovarlo e il vitalissimo gruppo dell'Elfo - una delle poche compagnie autenticamente innovatrici della scena italiana - ne ha fatto un testo-pretesto per una operazione interessante. L'operazione consiste nel mostrare che anche il teatro italiano può avere i suoi comedians: quella particolarissima razza di attori-autori, specialisti delle piccole ribalte, di solito emarginati in quelle no man’s lands del variété o del night, che hanno fra i loro illustri predecessori i già mitici esponenti del cabaret espressionista, il Charlie Chaplin degli esordi londinesi, Petrolini, Totò.

Nei due tempi, vediamo prima i «manovali della risata» riuniti intorno al vecchio, disilluso e burbero maestro (al quale il Vezzosi conferisce un umano spessore). Nella stanzaccia della scuola, in una sera di pioggia, «si concentrano» prima del saggio finale. Attendono il loro Godot, cioè il «grande comico» della tv Roberto Celli, rivale del loro sfortunato maestro e, dunque, piuttosto prevenuto; sicché i poveri ragazzi si trovano come noccioline nelle mani del destino.

Nel secondo tempo, via allo spettacolo, in un’orgia di musica stereo, smokings in lamé e brillantina. Ognuno fa il suo numero: vecchie barzellette, doppisensi scurrili, giochetti di prestigio, imitazioni, sketches magari involontriamente surreali, papere e - per parafrasare Frayan – “rumori fuori scena” col bidello nei panni del «presentatore che non si è presentato» e l'accigliato esaminatore in un angolo.

Il meglio è qui, nell’affannata descrizione dei disperati tentativi dei sei guitti per fare ridere l'esaminatore, sempre in contropiede rispetto alle intenzioni, sempre sulla buccia di banana dell’effetto mancato. Griffiths conosce le auree regole del ridere, quelle codificate da Bergson e Pirandello, maldestramente ripetute dal vecchio comico. E giocando sugli effetti ratés dei sei dilettanti della risata riesce a produrre quel risultato finale, destabilizzante, che fa l'interesse di Comedians.

La proliferazione degli effetti mancati, la ripetizione eccessiva delle gags sulle papere, sulle battute «mangiate», sul tragicomico involontario, sugli à coté delle imitazioni e sulla «questua degli applausi» sono però anche armi a doppio taglio. Non sempre - per inesperienza, credo -, i giovani interpreti sanno dosare e contenere queste variazioni sul «comico che fa piangere», e c'è un punto in cui Comedians esplode come le bolle di sapone nelle singole e non sempre calibrate esibizioni. Occorrerebbe «ormeggiare» ancora meglio i vari interventi, affinchè abbiano maggiore risalto i «punti forti» della pièce: il comico involontario del visitatore pakistano, vero Buster Keaton della storia; la malinconia del comico «a riposo», la buaggine dello showman della tv e il patetico dei «sogni di gloria» degli apprendisti comedians. Difetti strutturali, rimediabili. Giovane e complice, il pubblico ha molto applaudito.

Ogni attore si è ritagliato il suo successo: dall'Orlando, scalognato «jety della risata», al comicamente rozzo Claudio Bisio col suo numero dell'ochetta drogata, allo Storti con i suoi atteggiamenti di «Rambo di periferia», a tutti gli altri. Ha confermato la singolarità del suo umorismo lunare, tutto in contropiede, surreale e anzi patafisico, molto new deal, Paolo Rossi.

torna a inizio pagina