Per fare colpo su Carla Del Poggio, Peppino De Filippo la invita ad una serata al cabaret, allora (è il 1951) una novità di gran moda, dove si esibiscono i due "Gobbi" Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli. Infilato dentro un frac preso a nolo, Peppino scruta con una certa aria di compassionevole superiorità, mista a sospetto e a perplessità, quel nuovo modo di far ridere per lui — comico dell'avanspettacolo più ruspante — tanto sconosciuto e incomprensibile quanto indisponente. È un episodio di "Luci del Varietà" di Fellini e Lattuada, dove si confrontano due culture assai diverse: quella antica del comico all'italiana, più maschera che attore e con la sua eredità di lazzi che risalgono alla Commedia dell'Arte, e quella nuovissima (per l'Italia) del cabarettista alla francese o del "comedian" di scuola anglosassone.
Il "comedian" è piuttosto uno scrittore satirico che recita i propri testi e mette in scena se stesso, il comico nostrano è invece un attore, o meglio una maschera, che magari si scrive anche i testi. II "comedian" è personaggio ancora senza una storia — o quasi — da noi, al massimo si risale appunto ai "Gobbi". Petrolini e Totò certo erano un'altra cosa, Walter Chiari ci ha provato con discreta approssimazione, Aldo Fabrizi forse era un "comedian" (all'amatriciana) quando si piazzava in mezzo ai palcoscenici dell'avanspettacolo e attaccava con il suo «Ci avete fatto caso che...». . .
Ma a Fabrizi e agli altri comici della rivista o dell'avanspettacolo mancava quasi sempre una dote tipica dei loro colleghi americani o inglesi: la carica di provocazione e di aggressività nei confronti del pubblico, a volte violenta come nel caso di Lenny Bruce, magistralmente immortalato nel film "Lenny" diretto da Bob Fosse e interpretato da Dustin Hoffman.
Difficile quindi tradurre “comedian" in italiano, non a caso il Teatro dell'Elfo nel mettere in scena "Comedians" dell'inglese Trevor Griffiths ha lasciato il titolo originale, affiancato dal sottotitolo "Comici" che sembra voglia suggerire un compromesso tra i due diversi generi di comicità. Così è anche nella traduzione che (come in un'altra produzione dell'Elfo, "Nemico di classe") tenta l'ambientazione in Italia. E come in "Nemico di classe", lo spettacolo si svolge, nel primo tempo, in una scuola, anche se un po’ particolare: un vecchio comico insegna a sei allievi la difficile arte di far ridere. Il secondo tempo coincide con i saggi d'esame degli allievi davanti all’inviato di una televisione privata e il diploma sarà un contratto di lavoro, che però premia soltanto due degli aspiranti "comedians", i meno trasgressivi.
"Comedians" è soprattutto un testo per attori e conferma l'eccellente livello raggiunto da quelli dell'Elfo nella ricerca di una recitazione "non recitata", nell'attenzione ai meccanismi della comicità: da quella napoletana e rassegnata di Silvio Orlando a quella ebraica e sofisticata di Antonio Catania, da quella proletaria e affannata di Claudio Bisio a quella litigiosa di Renato Sarti e Alberto Storti, per finire con quella aggressiva e anarchica di Paolo Rossi.
A loro fanno da contrappunto la malinconica consapevolezza dell'insegnante Roberto Vezzosi, l'ineffabile pakistano Gigio Alberti, il bidello-presentatore Gianni Paladino e l'esaminatore (e regista) Gabriele Salvatores.