Sei «Comedians» in cerca di fama

Un curioso spettacolo «parallelo» sul testo dell’inglese Trevor Griffiths
Con l’Elfo alla «Versiliana»

Testata
Corriere della Sera
Data
30 luglio 1985
dicembre 1985
Firma
Renato Palazzi
Enzo Siciliano
Immagini
Immagine dell'articolo sul Corriere (1)
Immagine dell'articolo sul Corriere (2)

Uno spettacolo che arriva al debutto è fatto anche di invisibili scorie, di trucioli gettati sotto il tavolo delle prove, di resti della lavorazione abbandonati in vista del prodotto finito, di esperimenti senza seguito, di percorsi che non portavano da nessuna parte. Sono gli universi paralleli del teatro, le ipotesi che avrebbero potuto essere e non sono state. Ebbene, l'aspetto forse più affascinante dello spettacolo che il Teatro dell'Elfo ha presentato le scorse sere alla «Versiliana», una variazione sul tema di Comedians, testo scritto dall'inglese Trevor Griffiths dieci anni fa, sta proprio nell'aver tentato di salvare questi scarti, questi universi paralleli che al pubblico non sarebbero mai arrivati, facendone un allestimento a sé stante capace di sopravvivere accanto alla versione definitiva che sarà elaborata.

Chiariamo meglio: Comedians è un curioso copione in cui la riflessione esistenziale e politica si snoda insieme a quella sul teatro, una metafora del mondo che parte da uno sguardo sui luoghi più infimi dell'ambiente dello spettacolo. E' la storia di sei aspiranti comici che frequentano un corso serale tenuto da un vecchio attore, sei poveracci ciascuno con le proprie paure, le proprie delusioni, un proprio lavoro «normale» da cui spera di affrancarsi. Griffiths li coglie nel momento in cui l'impresario di una rete televisiva li sottopone a un esame di selezione.

Nel testo, tradotto da Ettore Capriolo, il primo atto mostra la preparazione, il secondo i provini veri e propri, il terzo quanto accade dopo. Perché l'impresario è un antico nemico del comico che li ha istruiti, e i suoi gusti sono all'opposto: così, come nella vita, c'è chi tradisce gli insegnamenti del maestro per adattarsi alle circostanze, chi gli resta fedele anche a costo di vedersi scartato, chi vince e chi perde e chi non sa di avere vinto o perso.

Il regista Gabriele Salvatores allestirà Comedians all'Elfo nel prossimo dicembre. Per mettere a fuoco il carattere dei personaggi ha per ora dilatato a dismisura il secondo atto, quello dell'esame, lavorando sull'improvvisazione per individuare i tratti specifici di ognuno, le loro pecularità comiche, il loro passato. Comedians nella versione estiva proposta a Marina di Pietrasanta è proprio una sintesi di questo lavoro preparatorio alla versione invernale, un «collage» di tutte le digressioni, di tutti i particolari che poi nello spettacolo «vero» in gran parte spariranno. Come osservare un tratto di strada senza vedere dove inizia e dove finisce, ma inquadrandolo con un binocolo che ne ingrandisce i dettagli.

Niente più di una serie di provini, sia pure immaginari, svela tutta la grandezza e la miseria del teatro. Questi sei «esami che non finiscono mai» si trasformano in un'ossessiva, martellante sequenza di barzellette insensate, battute vecchiotte, sordide freddure, sketch pateticamente surreali in cui si tocca il fondo dell'abiezione e si sfiorano momenti di grande poesia, perché vi si mostra tutto l'infinito risvolto tragico della comicità.

Se la biacca del clown nasconde spesso la lacrima, nulla è più disperato di un aspirante clown che forse fallirà. E dietro questi sketch, dietro queste barzellettacce occhieggiano frammenti di vita per lo più squallidi, l'impiegato frustrato, lo scaricatore di porto ansioso di redimersi, il lattaio che sogna l’incontro con la fama. Ma poi anche questo sfondo sociale-esistenziale passa in secondo piano di fronte a quella analisi spietata delle strutture del comico, lo stesso numero che in prova ottiene un effetto e nell'esecuzione ne ottiene un altro, la stessa barzelletta che raccontata da persone diverse fa ridere o mette tristezza...

Guidati, oltre che da Salvatores, dai cabarettisti Gino e Michele che li hanno assistiti nei numeri comici, gli attori — parte dell'Elfo, parte provenienti da altre esperienze — mischiano con suggestiva ambiguità le proprie risorse con quelle dei rispettivi personaggi. Sono tutti molto bravi: Paolo Rossi, il disadattato metropolitano tutto rock e videogame che getta sulla sua figuretta bizzarra un'intensa carica di drammaticità, Silvio Orlando, il napoletano triste, Renato Sarti e Alberto Storti, i «fratelli» che sciupano tutto litigando durante l’esibizione, Claudio Blsio e Antonio Catania, il proletario e il ricco ebreo che seguendo ciascuno le proprie nevrosi voltano le spalle al maestro e ce la fanno. E poi Gianni Palladino, il bidello che fa da improbabile presentatore, Gigio Alberti profugo pakistano capitato lì per caso, Roberto Vezzosi, l'insegnante deluso. Come i ragazzacci di Nemico di classe, non si può non amarli. La parte dell'esaminatore è sostenuta con sinistro distacco dallo stesso Salvatores.

Lo spettacolo gira ora per il grande luna-park dell'Italia estiva (Piombino, Ascoli, Bolzano, Pergine, Modena), in attesa di esser forse ripreso anche d'inverno in alternanza con la seconda, più articolata versione. Pubblico non foltissimo, l'altra sera alla «Versiliana», molti applausi e molte risate. Ma sono risate amare.

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Sei comici sotto esame

«Comedians» al Teatro delle Arti di Roma 

Di Comedians — all'ingrosso «comici» in italiano, — Gabriele Salvatores ci dà una riduzione nella nostra lingua e uno spettacolo accettabili. Un gruppetto di dilettanti, aspiranti attori di cabaret, dopo il corso tenuto da un vecchio comico di carriera, si offre all'esame di un funzionario tv. Gli aspiranti sono sei: ne passano due, gli altri vengono rimandati, per così dire, a ottobre. Melanconia del professore; supponenza dell'altro.

Comedians , autore un cinquantenne inglese di qualche fama e abilità, Trevor Griffiths, è poco di più: e Salvatores l'ha trasposto nella viva carne di un gruppetto di attori italiani sfruttandone felicemente l'ascendente gergale, dialettico e la mimica personale. Dopo un primo tempo di «presentazione», il secondo tempo inscena la sequenza dei «numeri». Ciascuno dice la sua, ciascuno si prende il proprio applauso. I sei attori — Paolo Rossi, Renato Sarti, Claudio Bisio, Antonio Catania, Silvio Orlando, Alberto Storti, più Gigio Alberti che interpreta un pakistano capitato per caso in palcoscenico, e Gianni Palladino che fa il bidello del teatro e insieme il presentatore della serata d'esame: — se la cavano benissimo. Il naturalismo originario del testo trova un preciso contrappunto nella napoletanità o nella padanità variegata degli otto ragazzi: e ci sembrano tutti appartenere a quella pasta di attori che danno la palma al proprio specifico personale, al proprio umore invece che a un'idea di oggettività espressiva. Ma va benissimo per quel che il testo è, e per quel che lo spettacolo voluto da Salvatores ricerca.

La ricerca punta a una crudezza comica di parole che poi si ingentilisce di malinconie, — la malinconia dell'insegnante deluso, la delusione degli attori rimandati a successiva prova.

Come si potrà capire siamo in piena atmosfera scapigliata e bohémienne. La sigla del Teatro dell'Elfo, che presenta lo spettacolo al Delle Arti d'altra parte, mi sembra appunto questa. Nella sigla vanno a cadere significativi talenti: primo fra tutti quello di Paolo Rossi, il quale dà felicemente al suo personaggio lo smalto e il brio traverso d'un'amarezza esistenziale, una crudezza smagata che si confonde con la sua singolarissima fisicità, come il violino scorticato. Accanto a lui vorrei ricordare Claudio Bisio, così bravo nel cercare battute, e accatastarle, quasi mosso da una molla indiavolata che ne fiacca e insieme ne esalta il pallore, la resistenza nervosa.

Roberto Vezzosi e lo stesso Salvatores — rispettivamente l'insegnante e l'esaminatore — mi sembravano più sbiaditi, nella convenzionalità dei loro ruoli, a confronto della libertà inventiva messa a disposizione degli altri. Applausi a questo piccolo Chorus Line della comicità nostrana.

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