Bravi gli attori del Teatro dell'Elfo, bravissimi: sanno recitare, cantare e ballare bene. Il loro Sogno di una notte di mezza estate (ora alla sala Umberto) è il primo vero musical italiano, non più l'affettuosa parodia di questo genere tutto americano, come era Piccole donne; né la classica commedia musicale all'italiana, dove gli attori recitano, i cantanti cantano e i ballerini ballano, ma nessuno, o pochissimi, sa fare decentemente le tre cose insieme.
La scelta della bella favola di Shakespeare appare ineccepibile per tentare questa nuova avventura artistica, firmata da Mauro Pagani per le musiche e da Gabriele Salvatores per la regia e la riduzione-riscrittura del testo. Dove c'è un elemento dionisiaco, di sconvolgimento della mente e dell'ordine ad opera dell'accendersi repentino delle passioni amorose, che trova nella danza e nella musica la sua espressione più naturale. Ben venga dunque il musical, che è recitazione, musica e danza insieme.
In scena la storie di Shakespeare c'é tutta intera: le nozze del duca Teseo e della regina Ippolita, insieme alla fuga notturna nel bosco dei quattro giovani insoddisfatti dei destini coniugali, che le famiglie riservan loro; e lì, sotto una “acquosa luna” di giugno (“watery moon”) si compiono i beffardi prodigi architettati dal re degli elfi, Oberon: la sua regina Titania s'innamora di un mostro, mentre i quattro giovani si accendono di passioni nuove, cambiando il bersaglio dei reciproci sentimenti, e, ancora, la comica recita dei maldestri artigiani, che si improvvisano attori per festeggiare Teseo e la sua sposa.
Questo 'notturno dionisiaco', che è malizioso e ambiguo in Shakespeare, la compagnia dell'Elfo lo rende con un rock duro, una coreografia perversamente ammiccante, i costumi di sapore punk. Ed è la parte stilisticamente più unitaria dello spettacolo. La più comica è invece — come è giusto che sia — quella della rozza recita degli artigiani, dove gli attori (in gran parte ex membri degli Anfeclown} si scatenano in gag esilaranti, in pagliacciate piene di misura ed ironia. Meno risolta la cifra del terzo racconto, quello della “realtà”, quello di Teseo, Ippolita e i quattro fuggitivi. La regia li trasporta (quasi) ai tempi nostri: ne fa degli immaginari altoborghesi, colti fra un cocktail party e una partita a tennis; li costringe poi ad un finale diverso e più amaro dell'originale: le coppie infatti, non si rinnovano secondo i desideri dei giovani, ma si ricompongono secondo quelli dei genitori. Al classico, scontato, ma dolcissimo “lieto fine”, si sostituisce un ambiguo, discutibile finale in chiave di mancata rivolta giovanile (un piccolo, ritardato funerale delle speranze del '68?).
Lo spettacolo è comunque pieno di fantasia, di suggestioni comiche e dionisiache, ben sostenuto dalle musiche di Pagani, animato dalle coreografie di Elisabeth Boeke e Patrizia Fachin. La scena di Thialia Istikopulou è una semplice sala di sapore neoclassico progressivamente invasa da rami d'alberi e code di mostri. I costumi sono di Ferdinando Bruni, ma quelli di un balletto portano la firma di moda di Giorgio Armani. Quanto agli attori vanno elogiati tutti: Doris Von Thury per le straordinarie doti comiche nei panni della sarta Starveling, Luca Barbareschi (Lisandro) per il suo atletismo istrionico, Giuseppe Cederna (Demetrio) per il talento comico-musicale, Claudio Bisio (Teseo) per quello di cantante-ballerino, e poi Luca Torraca, Corinna Agustoni, Ida Marinelli, Renato Sarti. Elio de Capitani, Cristina Crippa, Ferdinando Bruni. Platea gremita, vivissimo successo.