Bisio, email e notti insonni per sentirsi un po’ infantili

Testata
Corriere della Sera
Data
22 marzo 2006
Firma
Giorgio Terruzzi
Immagini
Immagine dell'articolo sul Corriere

I bambini sono di sinistra (in dvd con il Corriere) raccontato da uno degli autori
“Niente politica ma satira sulla condizione umana”

Sembra uno slogan. Così, addirittura è stato inteso. In realtà è un gioco, una sorta di filastrocca, un titolo. I bambini sono di sinistra contiene due riferimenti forti come due dediche. II primo riguarda Giorgio Gaber e il suo monologo-canzone “Qualcuno era comunista”: una sintesi gaberiana molto densa, commovente e ironica; diretta ed emozionante. Avremmo voluto fosse un omaggio con lui, Gaber, seduto lì, in teatro ad ascoltare ostentando il suo ghigno. sghembo e segnato. Invece, secondo destino malinconico e profondo, è diventato un omaggio alla memoria. Il secondo riferimento riguarda Gianni Rodari che tanti anni fa pronunciò quella frase.

Questa, appunto: I bambini sono di sinistra. Un abbrivio d’eccezione.

II testo è stato scritto a tarda sera dentro il mio ufficio a Mediaset, tanto per dire com’è strana, paradossale e non etichettabile la vita, per non parlare della genesi degli spettacoli di Claudio Bisio. Che nascono da chiacchere e vino rosso attorno attorno a una intenzione. Parlare di noi stessi, di un individuo che ci somiglia, che somiglia a molti, alle prese con le contraddizioni, gli imbarazzi, gli inciampi del proprio vivere. Quindi, non satira politica, considerata come percosrso quasi scontato, ma satira sulla condizione umana. Che è poi, per molti versi, più connessa alla politica. Ciò che importa per quanto riguarda la definizione di un monologo teatrale di Bisio, sono i mattoni. Da sfornare e mettere lì, cercando di comporre una successione che contenga una non-coerenza simile a quella del personaggio in scena. Il quale cambia argomento, sale e scende su una ipotetica scala musicale così come può fare un trombettista jazz. Divagazioni, scivoloni, acuti, attorno a un nucleo-tema che resta, si allontana e torna.

In questo senso, stabilita l’identità del personaggio, cominciamo a scrivere. Separatamente. Nel computer, di Claudio confluiscono i testi. Parte la mail, abbinata a una telefonata di avvertimento, il brano viene letto e si capisce quasi subito se funziona oppure poco, non ancora, per niente. I bambini sono di sinistra ebbe immediata accoglienza da parte di tutti noi. Sembrava un mattone solido, da accantonare insieme ad altri per poi definire la sequenza. Un lavoro che a Claudio fa quasi perdere il sonno, il cui esito affiora solo poco prima del debutto, durante le prove. Claudio è così. Sguazza nell'incertezza per produrre una sicurezza propria. Lo guardi a tre ore dalla prima e ti viene da dirgli: “Beh, rimandiamo, non sarà la fine del mondo”. Poi va in scena e tutto funziona a meravigila. Nella sua testa e quindi nelle intenzioni, nel ritmo, nei tempi comici.

Lo spettacolo I bambini sono di sinistra ha avuto fortuna, ha portato fortuna. Credo che ciascuno di noi, da Bisio a Michele Serra, da Gigio Alberti a Giorgio Gallione (il regista); a me stesso, sia fiero di questo lavoro. Il monologo poi, ha avuto una storia a parte dopo essere stato presentato a Zelig e, soprattutto, alla festa del primo Maggio (con emozionante ed inedita colonna sonora). Polemiche e interpretazioni, addirittura interrogazioni parlamentari. Tutto questo – senza presunzione – ci ha divertiti. Perchè sin dall’inizio del lavoro, Claudio ha ipotizzato la possibilità di scrivere e recitare, magari a sorpresa, “I bambini sono di destra”. Perchè, volendo, i bambini sono proprio di destra, anche di destra. Questo per dire quanto non si tratti di un proclama vero e proprio. Piuttosto di un gioco, appunto, fatto da ex bambini vicini ai cinquant'anni; alle prese con un disincanto doloroso, a caccia di una memoria di se stessi in qualche modo confortante. Che contiene un’autoironia, uno sghignazzo, abbinati a qualcosa di più profondo: il bisogno di ripristinare un’etica, un senso del vivere in qualche modo resistente. È un po’ come guardarsi allo specchio con una speranza accanita: riconoscere sul nostro viso una traccia che nessuna esperienza ha potuto cancellare, la traccia della nostra infanzia, con quel candore fresco, lì. Con dentro un’aspettativa di bene, di solidarietà naturale, qualcosa che a suo tempo determinò un’idea, l’affezione a un’utopia, un senso magnifico e perduto di appartenenza e aggregazione.

Ecco, nient’altro. La questione riguarda un individuo, quello che Claudio porta in scena, così come riguarda Claudio nella vita, riguarda me stesso, le persone con le quali cerchiamo di comunicare. Per questo, soprattutto, sono convinto che Claudio desideri fare teatro secondo un registro molto diverso da quello che utilizza altrove, ad esempio in tv. E per questo, credo, riusciamo a intenderci, a lavorare insieme, anche a distanza, assecondando una preziosa complicità. Si tratta di percorrere una intenzione comune e diffusa: guardarsi addosso, guardandosi attorno. Senza metterla giù dura, va là. Perchè di qualunque verità siamo purtroppo, drammaticamente, comicamente, cronicamente sprovvisti.

torna a inizio pagina