Vendite record. Ristampe a getto continuo. Un successo editoriale senza precedenti per un Paese di non lettori come il nostro. La collana «Le formiche» della Baldini & Castoldi è la sorpresa del mercato librario. Nata sull'onda dello straordinario successo del primo dei tre atti della saga delle formiche di Gino & Michele e Matteo Molinari, è una collana con una fisionomia precisa. Umorismo e satira i suoi cavalli di battaglia. In catalogo le firme di alcuni personaggi resi celebri dal piccolo schermo.
E sono proprio loro quelli con i record di vendite, con il maggior numero di nuove edizioni. Paolo Rossi con i suoi monologhi intitolati «Si fa presto a dire pirla» è giunto all'undicesima edizione. Corrado Guzzanti, il replicante di Fede e Bossi a «Tunnel», è alla quarta edizione con «II libro de Kipli», poeta surreale di «Avanzi» e della prima Repubblica, Antonio Albanese in questi giorni con «Patapim e Patapam» è ai primi posti in classifica secondo la rilevazione dell'Istituto Cirm.
Alla sesta edizione è arrivato «Quella vacca di Nonna Papera» di Claudio Bisio, che abbiamo incontrato. Settantacinquemila copie vendute sull'onda del successo di «Cielito Lindo». È vero, Bisio è attore di «Mediterraneo», premio Oscar come migliore film straniero, e di altri film di Salvatores. In «Sud», l’ultimo del regista milanese, aveva una parte di rilievo come giornalista volgare e opportunista. È stato tra gli artefici del successo di «Zanzibar», sempre in tv ma per la Fininvest. Eppurè è stata proprio l’ultima trasmissione su Rai 3 a fare da volano alle vendite.
Il nesso tra la celebrità televisiva e il successo raggiunto dovunque e comunque come effetto «virtuoso» di quella celebrità, anche in campi che esulano dall'attività propria di chi ha raggiunto e convinto milioni di telespettatori, è tema troppo vasto e complesso per lo spazio di un'intervista, pur se di stretta attualità e degno di opportuni approfondimenti.
Claudio Bisio non parla di manipolazione ma ammette che la popolarità televisiva è componente determinante nel successo del suo libro. Ripete in più di un'occasione che non è uno scrittore. È contento delle vendite ma si schermisce come se provasse un po' di pudore ad approfittare di quella popolarità. Di metterlo in classifica accanto a Gianni Celati non se ne parla proprio. Si vergogna.
«Non mi entusiasma fare il pirla in televisione per vendere libri». Non si stenta a credergli quando afferma che da un bel po' le case editrici gli stavano dietro per pubblicargliene uno. Non sa neppure se ci sarà un'opera seconda. Si legge nel primo monologo o racconto (la distinzione è sottile e richiederà una spiegazione), che «questo («Quella vacca di Nonna Papera») non è il libro che io volevo. Dovendo, o volendo scrivere un libro (anzi due: il primo e l'ultimo) avrei voluto parlare di me». È una battuta che funziona, ma ci ha confessato che non è lontana dal vero. Anche qui e come sempre nelle storie sulle quali Bisio costruisce i suoi spettacoli gli elementi autobiografici non mancano.
«La scrittura per me e per gli amici che collaborano ai miei testi, qualcuno davvero bravo come Edoardo Erba, un vero scrittore, è sempre finalizzata allo spettacolo. La nostra è una scrittura collettiva. Buttiamo giù le idee e le proviamo nei nostri spettacoli. Se capito allo Zelig salgo sul palco e faccio un pezzo nuovo. Vedo come reagisce il pubblico. Se funziona quel pezzo può entrare nel repertorio».
La scrittura collettiva è una costante dei libri nella Baldini & Castoldi firmati dai comici, televisivi e non. Siamo lontani dalla fatica solitaria dello scrittore, come sottolinea Claudio Bisio. I copioni vengono messi a punto dall'attore con i suoi collaboratori, e poi generalmente sono questi a finire nelle pagine del libro.
«Avevo tre possibilità. O davo il copione così com'era, con note di regia, scene e quant'altro, come ha fatto Lolla Costa con Feltrinelli, oppure facevo una cosa diversa dallo spettacolo, come Gene Gnocchi. Che poi fa lo scrittore e mi pare che lo faccia bene. Ho scelto una via di mezzo». «L'ottanta per cento — dichiara Bisio — è materiale dello spettacolo. Il resto è nuovo. Ma ho voluto ci fosse in copertina la parola "monologhi". Non voglio imbrogliare. Solo che per rendere leggibile il materiale libero dello spettacolo ho dovuto dargli una forma conclusa da racconto, con titoli che non esistono sul copione. Ho dovuto fare la parte dello scrittore. Per un attore come me è stato un bell’impegno anche se mi capita di scrivere per riviste come "Comics" o "Samarcanda"».
C'è un racconto che più di altri si legge come il manifesto della tua scelta di restare ancorato ai temi di un'adolescenza prolungata oltre misura, con una grande ricchezza di spunti autobiografici e di memoria. E con una forte carica surreale. È «Self (The man who loved himself eachother)». Inizia così: «Ma la più bella (...) è la storia che ho avuto con me. E dire che non ero un tipo facile...».
«È un "divertissement". Volevo raccontare una cosa senza senso logico ma riconoscibile. Come prendere un guanto e poi mostrarlo rivoltato. Si intuisce cos'è, come l'arazzo di Borges che da dietro si stenta a ricostruire. Una fatica scriverlo».
È comprensibile visto quello che accade. «... Tornavo a casa la sera, non c'ero... mi mancavo. Mi alzavo la mattina, non c'ero... mi mancavo. Dalla rabbia mi tiravo le freccette... mi mancavo».