di Sandrone Dazieri - foto di Marina Alessi
Un Bisio che diventa Zelig per davvero, diviso tra il Gorilla, detective sensibile al dolore, e l'altro suo io, il Socio, l'anima nascosta spietata e razionale. E in questa confusione anche le identificazioni pericolose di Sandrone Dazieri, il giallista che ha inventato il personaggio letterario, scritto la sceneggiatura del film ed eccezionalmente, intervistato Claudio per Ciak. Botta tra due soci. O tra due gorilla?
Le cartiere Binda sono un pezzo magico e sconosciuto della città di Milano. Un complesso di edifici fatiscenti, capannoni sventrati con enormi cavi di acciaio ritorti e pulegge arrugginite, argani e binari dove una volta sostavano macchine enormi. E poi uffici sorprendentemente intatti, una palazzina che ospitava i dirigenti quasi abitabile che ancora ne mostra il lusso, un salone affrescato da poco che ha ospitato alcune delle mostre più interessanti di arte moderna. Adesso, in attesa di essere abbattute e trasformate in loft per una città che non ne ha mai abbastanza, sono diventate il set di un film. In un angolo dove si vedono ancora le scritte "spogliatoio uomini", due splendide ragazze di colore si fingono prostitute in attesa di clienti. Non è un cliente quello che le avvicina, ma un uomo con un trench scuro e stazzonato, che cerca informazioni su un omicidio. Guardo la scena con il senso di premonizione del sogno, perché è la scena del film che ho scritto, ma vedendone la realizzazione scopro quello che già sanno migliaia di sceneggiatori prima di me. Che la sceneggiatura, quello che si scrive, è solo un canovaccio dove si innesta la forza visionaria di un regista e la personalità dei protagonisti, creando qualcosa di completamente nuovo, che a te scrittore appartiene solo in minima parte. L'uomo in trench recita le sue battute per l'ultima volta, il regista urla che va tutto bene, l'uomo in trench manda un sospiro di sollievo e butta via la sigaretta che gli penzolava dall'angolo della bocca. Smette di essere il Gorilla, detective sui generis perseguitato da violenza e morti, e torna ad essere Claudio Bisio. Lo seguo nella roulotte dove si svacca su una poltroncina, sfregandosi l'occhio sinistro arrossato.
È rosso per il trucco di scena?
Ride. No no, è rosso per il fumo.Tu pensa che ho smesso con le
sigarette dieci anni fa quando è nata mia figlia. Adesso mi tocca
tenerne sempre una in bocca, perché Carlo Sigon (il regista) dice che
fa molto noir. Sarà anche vero, ma tra un po' mi si stacca la
retina. Il prossimo film lo farò con la benda sull'occhio.
Non so se sentirmi in colpa, ma direi di no, perché se questo
film si fa è un po' anche responsabilità tua...
Non solo mia, anche del mio spacciatore di libri di fiducia, il
gestore della libreria Centofiori. E’ stato lui a farmi
conoscere la maggior parte degli autori di noir che mi piacciono:
Izzo, Carlotto, Pennac. Poi tre anni fa mi ha dato in mano La cura del
Gorilla e leggendolo ho capito che il protagonista mi piaceva proprio
e ne ho parlato al produttore Maurizio Totti della Colorado film. II
progetto è partito. Devo fingere che non conosci il Gorilla e lo
spiego un po'?
Abbi pietà di me. Già intervistare un amico è disdicevole, poi
farlo su un lavoro costruito assieme...
Ok. II Gorilla è uno che ha alle spalle una vita da irregolare, nei
centri sociali. Poi ha cambiato vita ed è diventato un buttafuori, ma
oltre a fare lavori muscolari incappa sempre in omicidi e indagini
rischiose. Ma quello che lo rende molto particolare è il suo essere
doppio. II Gorilla, infatti, soffre di una particolare forma di
schizofrenia. Quando si addormenta, il suo corpo viene
"abitato" dalla sua seconda personalità, che lui chiama il
Socio. Tanto il Gorilla è simpatico e umano, tanto il Socio è duro e
razionale. Interpretarlo mi offre delle grandissime possibilità
espressive perché posso giocare su molti registri. Ma è anche un
personaggio pieno di insidie. In un libro la sua doppiezza la puoi
spiegare meglio, hai più spazio per l'approfondimento. In un film
devi renderlo senza trasformarti in macchietta, senza dividerlo in
modo manicheo. Perché il Gorilla non è mezzo buono e mezzo cattivo,
non è Jekyll e Hyde. È più una specie di Yin e Yang, dove la parte
bianca e quella nera hanno dentro a loro volta un po' di nero e un
po' di bianco.
E quale delle due parti ti piace di più?
Difficile dirlo. II Gorilla sono più io, indubbiamente. Ha il mio
senso dell'umorismo e mi riconosco nelle sue contraddizioni da
post comunista, da post maschilista, da post tutto, nei suoi sensi di
colpa per essere bianco nel ricco Nord di un mondo dove la maggior
parte della popolazione soffre la fame. II Socio non ha questo
moralismo politically correct, non gliene importa nulla. Se gli piace
una donna ci prova, se qualcuno gli sta sulle scatole glielo dice. Dà
dello stronzo a tutti quelli che se lo meritano, senza mediazioni.
Come ti sta venendo questo doppio ruolo?
Starà al pubblico decidere comeme la sono cavata, ma per quanto mi
riguarda sono soddisfatto.
Il più bel complimento I’ho ricevuto dal fonico, Tiziano Crotti.
Lui è uno che il film quasi non lo guarda, lo vive attraverso i suoni.
Bene, una delle prime scene che ho girato era un dialogo. Un inizio
durissimo, perché era un dialogo che mi toccava fare da solo,
dividendomi tra il Gorilla e il Socio. E Crotti, ascoltando in cuffia,
mi ha detto che distingueva perfettamente quando ero l'uno e
quando l'altro. Mi ha detto che in modo istintivo ho modulato la
voce come mi avrebbe consigliato lui di fare.
Istintivo, quindi non hai un "metodo" di
immedesimazione?
Se per metodo intendi una roba alla Brando direi di no. Ho tanti
metodi, prendo dalla mia esperienza nel cabaret, nel teatro, negli
altri film. Sono un cialtrone per indole, uso quello che ho sottomano
senza rifletterci troppo. E mi sento libero di improvvisare senza la
preoccupazione di “smarronare". Perché la sceneggiatura è
precisa e funziona...
Grazie, ma visto che ti intervisto io è un argomento
tabù...
…Non ci crede nessuno quando fai il finto modesto. A parte la
sceneggiatura, c'è Carlo Sigon che mi tiene "sotto
controllo". So che posso fidarmi di lui. Di solito la stessa
scena la facciamo in quattro o cinque modi diversi. Ne recito due o
tre "scolasticamente", poi Carlo mi chiede di provare a
eccedere o di sottrarre. Cerchiamo di usare tutti i registri che
questa storia ci offre: il comico e la cupezza, il sarcasmo e il noir
più noir. Se fosse un piatto direi che ha tantissimi sapori, e
vogliamo farli assaggiare tutti al pubblico.
E non c’è il rischio di fare un film troppo caricato? Un
patchwork?
Ci sarebbe, forse, senza Sigon. Lui ricerca sempre l'essenziale,
forse perché viene dalla pubblicità dove ogni secondo, ogni
inquadratura, deve essere riempita di senso. Quindi tanti sapori, ma
con il bilancino di precisione. Ci siamo arrischiati anche a una
spruzzata di erotismo, in una scena con Stefania Rocca, di cui non ti
dico di più per non togliere la sorpresa...
La Rocca è la coprotagonista. Cominciando da lei, dieci
qualcosa dei tuoi colleghi sul set.
Stefania ci ha salvato da un rischio, di fare un film con un ottica
troppo maschile. Lei ha portato il suo punto di vista sul suo
personaggio, l'ha pensato molto, l'ha arricchito come solo una
donna consapevole poteva fare. E dentro riesce a tenere le sfumature
drammatiche del personaggio anche quando interpreta le scene più
leggere. Grande Stefania. Con una così a fianco il Gorilla diventa
immediatamente cool. E poi è una forza della natura. In una scena di
rissa doveva fingere di dare dei calci a una bodyguard, ma alla fine
lui si è ritrovato pieno di lividi. Sai, quando una donna si incazza,
in un film, rischia di fare la figura della poveretta isterica. Con
Stefania questo rischio non c'è.
Ernest Borgnine?
Sono un fan di Ernest. Ha quasi novant'anni, ha vinto un Oscar, ha
interpretato quasi centocinquanta film, vive in una villa a Beverly
Hills che confina con quella di Jack Nicholson. E, nonostante questo,
non fa mai una bizza, non ha mai atteggiamenti da divo. Non si lamenta
neanche del catering, che come sai è la croce di chi fa il nostro
mestiere, mangia sempre con la troupe. E anche se recita da dio,
ascolta con umiltà un regista che ha quaranta anni meno di lui. Se la
tira zero. Un insegnamento per tutti.
Poi ci sono Gigio Alberti, Antorno Catania, Bebo Storti... tre
tuoi vecchi amici.
Di loro posso dire che sono una sicurezza. Hanno indossato i loro
personaggi come un guanto e ci è venuto facilissimo improvvisare
battute, trovare quel guizzo per arricchire tutte le scene che abbiamo
fatto. E mi ha fatto un immenso piacere tornare a lavorare con tutti
loro assieme, non ci capitava dallo spettacolo teatrale Caffé Procope.
E sai dove lo abbiamo dato l'ultima volta? Al Leoncavallo, in
solidarietà contro lo sgombero del 1994. E tu eri lì a fare il
servizio d'ordine, il gorilla... Una bella agnizione, ti pare?