Ciò che distingue Asini dalla maggior parte dei film italiani in circolazione, basati su pretesti o compilation pure e semplici, è il fatto di avere un’idea. Un’idea che può essere condensata in una formula: i buoni devono tirare fuori le unghie. Siamo lontani, però, dal paradosso rosselliniano “i buoni devono ammazzare i cattivi” (“la macchina ammazzacattivi”) perché Asini sponsorizza una visione d’impronta new age, sostanzialmente benevola e ottimistica.
La favola scritta (assieme a Giorgio Terruzzi e Roberto Traverso) e interpretata da Claudio Bisio ha la forma di un apologo, altra cosa piuttosto rara nel nostro cinema. Italo è un quarantenne milanese che si rifiuta di crescere: vive con mamma e zia, è fidanzato da sempre con Rita e non pensa ad altro che al rugby. Quando il suo allenatore lo lascia in panchina, il ragazzone accetta un incarico come insegnante di ginnastica. Così finisce sulle colline romagnole, in un convento francescano che ospita frati, asini a quattro zampe curati da una graziosa veterinaria, nonché giovani ciuchi umani, molto difficili da ammaestrare. Il mondo a parte del convento è minacciato dai progetti di un vescovo, che intende costruire sul luogo un gigantesco complesso di fitness della fede chiamato Città di Dio.
Dalla piccola comunità, eccentrica rispetto a tutti i criteri della vita odierna, Italo impara molte cose. Ma scopre di averne parecchie da insegnare anche lui: le regole del rugby, che permetteranno a fraticelli in maglia a righe di andare a spargere la buona novella per il mondo con molta più grinta dei candidi francescani di (ancora lui!) Roberto Rossellini.
Bisio non firma la regia di Asini, che ha affidato al più esperto Antonello Grimaldi; però il resto del film è tutto suo e gli somiglia come un gemello: è simpatico, amichevole, dispersivo. Fa piacere vedere il pattuglione di interpreti messi assieme per compiere la missione. Veterani come Arnoldo Foà, Isa Barzizza, Renato Carpentieri; brave attrici come Giovanna Mezzogiorno e Maria Amelia Monti, caratteristi irresistibili come Vito, Fabio De Luigi e soprattutto Ivano Marescotti, che sembra uscito dagli spettacoli teatrali sui testi di Raffaello Baldini.
Però la sceneggiatura si disperde troppo spesso in sketch, “cammei”, comparsate di amici e colleghi; quasi che Bisio, arrivato finalmente al “suo” film, non confidi poi abbastanza nelle proprie forze.