La Caprioglio servetta tra i federali

Applaudito alla Settimana Italiana “Albergo Roma” di Ugo Chiti, regista deb di cinema
Con Bisio e Benvenuti in un giallo nella Toscana del ‘39

Testata
Corriere della Sera
Data
31 agosto 1996
Autore
Maurizio Porro
Immagini
Immagine articolo sul Corriere della Sera

Felice, applaudito debutto del teatrante Ugo Chiti nella Settimana Italiana, con «Albergo Roma», tranche di vita provinciale toscana ispirata a una sua commedia ma anche a un fatto vero, una congiura degli innocenti nel mezzo di un groviglio di vipere. Fedele al bozzetto inteso come supporto narrativo degli eventi, Chiti manovra con sapiente humour nero un piccolo grande «giallo» del 1939, che mette in ansia podestà e federali, dottori e marescialli, per la scoperta di un feto sconosciuto. Urge un capro espiatorio:ma dietro il delitto apparente, se ne nasconde un altro.

E Soprattutto ci sono, in bella mostra, i vizi capitali dell'Italia littoria: l'adulterio come sistema di famiglia, l'ipocrisia e il razzismo come sistema di vita, il pettegolezzo come sistema di comunicazione, sempre nel rispetto dell'uomo forte con i deboli e remissivo con i forti. Un anno dopo, l'Italia, come da didascalia, non poteva che entrare in guerra. Il film, scandito in 7 giorni, fa un poco fatica ad annodare tutti i fili e le tentazioni, anche stilistiche, sparse nel racconto.

E alla fìne Chiti riesce a creare un nucleo drammatico senza alzare mai la voce, mandando nella bottiglia un messaggio saggio socio-politico in calligrafia tragicomica, spiando dal buco della serratura la borghesia d'epoca che si prepara a ricevere il duce con l'Ouverture del «Guglielmo Tell» di Rossini. Naturalmente è un film di rimandi, parentesi, smorfie, buffonerie, e di forte ma utile radice teatrale, che un cast molto affiatato e spiritoso tiene nella misura, senza cadere nelle facili trappole degli eccessi. Molto bravi Claudio Bisio, che sta nei limiti ma fa supporre il peggio; Alessandro Benvenuti, che fa il verme cosciente; la servetta veneta Debora Caprioglio che fa un ritratto rétro con affettuosa civetteria e le signore che chiacchierano alla così è se vi pare; ma perfetti sono anche il federale Tcheky Karyo, la sarta Lucia Poli, Gianna Giachetti e Barbara Enrichi, che ha una crisi di nervi nel mezzo di un party autarchico.


Amarcord quella provincia di colore nero fascista

Pettegolezzi, amori e crudeltà in “Albergo Roma”

Testata
Corriere della Sera
Data
1 ottobre 1996
Autore
Tullio Kezich
Immagini
Immagine articolo sul Corriere della Sera

A parte che parla dell'imminente visita di Mussolini in una cittadina toscana nel ‘39, e se non si conoscessero diversi volti di attori nostrani, Albergo Roma potrebbe sembrare un film spagnolo o addirittura sudamericano. Uno di quegli affresconi d'ambiente provinciale, animati e svarianti, dove si rispecchiano pettegolezzi e malizie, intrighi di sesso e prepotenze padronali: il tutto in chiave, per usare l’espressione di Artaud, di blanda “cruauté”. Il fatto curioso è che la cornice, la vernice e la chiacchiera dei personaggi si mantengono inconfondibilmente strapaesane. Come se l'esordiente regista Ugo Chiti, nel trasportare sullo schermo la sua commedia “Allegretto... per bene ma non troppo”, avesse manipolato un raccontò di Neri Tanfucio in una salsa alla Bunuel.

Mentre si svolge una «prova di banda» che fa strazio della sinfonia della “Gazza ladra”, un cane scopre in un prato qualcosa che somiglia a un feto di sette mesi.

Non ci vuol altro, a una settimana dall’annunciato arrivo del Duce, a scatenare l’orgia delle illazioni più o meno velate, che tra l'inerzia del podestà, la tigna del prete e il rampantismo del segretario del Fascio finiscono per concentrarsi sulla figlia innocente di una contadina a suo tempo chiacchierata. Nelle more scende all'Hotel Roma, cercando di non farsi notare, il federale in persona, che si suppone abbia saputo dello scandalo e voglia segretamente indagare.

Amorazzi, apprensioni, risentimenti, cattiverie, ce n'è abbastanza per farti esecrare la vita di provincia. Di cui il fascismo, ed è questo il senso del film, è una specie di autobiografia.

Vera protagonista di Albergo Roma è la piazza (presa in prestito a Foiano della Chiana, che ne ha tratto orgoglio e legittima smania di valorizzazione turistica) dove si incrocia l’invisibile trigonometria degli sguardi dietro le persiane. Il che, per un regista che viene dalla scrittura di teatro, costituisce titolo di stimolante disponibità al racconto per immagini.

Non è il caso di svelare come va a finire perché nell'ultima parte ci sono un paio di colpi di scena abbastanza imprevedibili: basti dire che l'acre giustizialismo di Chiti svergogna l'intero paese, salvando una sola frgura positiva: quella della contadina impersonata da Patrizia Corti con un bel impeto da Madre Coraggio.

In un film che rinuncia a convincere e a commuovere per coerenza a un sunto troppo sibillino, ottime prove attoriali forniscono tutti gli interpreti: dal fascistone Claudio Bisio, che sembra la caricatura di Osvaldo Valenti, alle comari Lucia Poli e Gianna Giachetti, dalla stuzzicante camerierina Debora Caprioglio al quasi-scemo del paese Alessandro Benvenuti, sapientissimo come sempre nella sua maliziosa incisività.

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