Guerra, ma forse no. Questo «Mediterraneo» non è il compimento di «L'armata s'agapò» quarant'anni dopo l'arresto con conseguente traduzione in un carcere militare di Renzi & Aristarco che l’avevano progettato: insomma non è il tanto rimandato film sull’aggressione italiana alla Grecia. Oggi un tale film si potrebbe benissimo fare senza finire in fortezza (e sull’argomento, nel tempo, qualcosa si è pur visto), ma al regista Gabriele Salvatores e allo scrittore Monteleone la metafora, scorciatoia per l'utopia, è più cara della storia.
Prendiamola come una favola. Una pattuglia sperduta di nostri soldati, otto uomini muli uno, sbarca nel giugno '41 sull'isoletta di Kastellorizo. Il borgo è deserto e sul muro campeggia una scritta minacciosa: «La Grecia è la tomba degli italiani». Non sarà così: a poco a poco l’isola riprende a vivere con vecchi, donne e bambini (gli uomini li hanno portati via i tedeschi) e visto che la radio si è scassata per gli antieroi senza ordini né notizie comincia una vacanza illimitata. Ciascuno passa il tempo a suo modo: il tenente restaura i dipinti della chiesa, il sergentaccio che ha fatto l'Etiopia e la Spagna si da una calmata, gli alpini fratelli se la spassano con una villanella, l'attendente s'innamora di Basilissa puttana del paese... Sempre più il gruppo degli italiani perde ogni connotazione militaresca giocando a calcio con i ragazzini, ballando il sirtaki e assumendo in tutto gli usi e i costumi.
Finché arriva un aviatore annunciando che tre anni sono passati e anche noi spettatori non ce ne siamo proprio accorti: c'è stato l'8 settembre, vincono gli alleati. Incombe fatale l'addio al paradiso, ma uno si impunta che vuol restare e altri due (in un epilogo crepuscolare, molti anni dopo) torneranno a raggiungerlo. Ormai vecchietti, con i tre attori passati attraverso lunghe sedute di trucco, e amareggiati perché il potere che domina la società non gli ha permesso di cambiare il mondo.
Pur appartenendo più al '68 che al '44, «Mediterraneo» è forse ispirato dalle leggende sugli ignari giapponesi rimasti a presidiare solitarie isole del Pacifico molti anni dopo la fine delle ostilità. Nel confermare l'entusiasmo e la voglia di qualità che hanno di solito i film prodotti da Gianni Minervini, lo spettacolo si raccomanda soprattutto per la presenza intonatissima di alcuni ottimi interpreti tra i quali spiccano il sergente Diego Abatantuono, il tenente Claudio Bigagli, il soldato innamorato Giuseppe Cederna.
Quanto alla regia, una leggerezza di tocco che rischia di sconfinare nella fragilità, un'amarezza generazionale che si trattiene dal diventare tedio della vita, la certezza di venir assolto dagli scaduti obblighi dell'impegno sul piano della simpatia caratterizzano ancora una volta lo stile accattivante dell'autore di «Marrakech Express» e di «Turné».