Una calda notte d'estate Teseo e Ippolita, due ricchi signori, raggiungono la residenza di campagna per celebrare il loro matrimonio. Anche quattro ragazzi, Ermia, Elena, Demetrio e Lisandro hanno la stessa meta. Ermia è amata contemporaneamente da Lisandro e da Demetrio: suo padre vuole che sposi quest'ultimo, ma naturalmente lei ama l'altro. La quarta ragazza, Elena, ama perdutamente Demetrio, ma questi non vede altro che Ermia. Quella stessa sera, un gruppo di artigiani e impiegati del luogo ha deciso di mettere in scena una commedia da rappresentare davanti a Teseo e Ippolito in occasione del loro mathrnonio. Vanno a fare le prove in un castello abbandonato dove si rifugiano anche i quattro ragazzi. Al sorgere della luna il castello si popola di spiriti e di elfi. Oberon, signore delle tenebre, comincia a tessere intrighi d'amore per riconquistare Titania regina della notte. Per questo usa il succo del "fiore dell'amore futile" ma non tutto va come dovrebbe. Ne sono contagiati spiriti e mortali, Elena e Demetrio, Ermia e Lisandro, Titania e Bottom, il più stupido della compagnia di dilettanti. La notte trascorre tra scambi di persona, innamoramenti impensati, trasformazioni magiche, fughe, rincorse e duelli.
Al sorgere del sole gli spiriti si ritirano e tutto ritorna alla normalità: i mortali vogliono credere di aver sognato e desiderano dimenticare. Erma accetta di sposare Demetrio e anche Lisandro sposerà presto Elena. Gli artigiani cominciano a recitare la commedia davanti ai signori e vengono insultati e derisi. La festa è finita ma nel salone deserto della villa ricompaiono gli spiriti: forse non tutto è stato un sogno…
Sogno di una notte d’estate di Gabriele Salvatores è invece tratto liberamente. Da Shakespeare, ma ancor più da uno spettacolo teatrale dello stesso regista per il teatro dell’Elfo di Milano, anch’esso di grande successo. E qui ciò che si libera nel passaggio sono appunto il cinema e i suoi nuovi riti giovanili. Se il film di lavia si limita a coltivare il tradizionale spettatore teatrale quello di Salvatores cerca un altro spazio, un altro pubblico. Non è solo un Sogno trasformato in musical ma è un vero Rocky Shakespeare Picture Show che cerca quella fusione di musica, immagine, danza, visionarietà e vistosità tipica dei midnight movies. E, per il pubblico della mezzanotte, la notte di mezza estate shakesperiana è un grande repertorio di fantasie, eccessi, mostruosità, buffonerie, rincorse e divagazioni su cui c’è davvero da andare a nozze.
Il genere non è più il teatro filmato ma il capriccio in cui ogni accostamento di stili e di epoche è possibile. Una vecchia fabbrica di mattoni diventa un castello, i comici arrivano in Topolino, Teseo e Ippolita ballano l’habanera, Oberon si aggira nelle docce di Hitchcock. Inserti rubati agli archivi e alla cronaca, vulcani, missili. Saloni, grotte, sotterranei, foreste azzurrine e interni bianchissimi da sala pose. Fuochi dappertutto e acqua che gocciola dai muschi o scroscia a cascate. Attori che vengono dal teatro (Oreste Lionello) dal cinema (Flavio Bucci) dal fotoromanzo (Erica Blanc) dal rock (Gianna Nannini).
Salvatores, dal canto suo, si butta, gioca e rischia senza rete (a parte la rete Due, che ha reso possibile l’operazione), si affida principalmente al gusto e si salva dalla continua possibilità di cadute grazie anche al professionismo e alla prestazione efficiente e generosa di tutta la compagnia: fotografia (Dante Spinotti) e musiche (Mauro Pagani), scenografia (Gianmaurizio Fercioni) e montaggio (Gabriella Cristiani). Ma commettendo forse un errore di impostazione complessiva che rischia di compromettere il funzionamento del film come spettacolo teso e partecipato e che gli dà un andamento in calando, fatto di un esaurimento progressivo invece che di una crescita continua.
Poiché il regista gioca troppo presto le sue carte, accumula gli stimoli e le sorprese solo nella metà iniziale del film.
E quando deve calare Shakespeare, poiché bisogna pur portare a termine la storia, far sposare i ragazzi, far recitare i comici, far rientrare le creature della notte, ci si accorge che la briuscola era un’altra e la bella carta shakesperiana risulta alla lunga, proprio lei, la più debole se non proprio quella perdente